Abbiamo questa cosa con la quercia. Con i suoi frutti, le ghiande, e con le sue foglie.
La sua maestosità. Una connessione profonda.
Forse perché tocca alcune corde, per così dire, ancestrali del nostro inconscio.
Albero significativo in tutte le principali mitologie del Vecchio Continente e forse alla base delle credenze più antiche di quel popolo migratore da cui discendiamo come Europei.
Culto della quercia. Anticamente nel nostro continente, in una fase in cui l’uomo adorava le forze della natura e le riteneva residenti in flora e fauna, esisteva molto probabilmente una forma di culto degli alberi. Si ritiene che la fase successiva dello sviluppo del pensiero umano, che vide antropomorfizzare queste entità naturali in un pantheon di divinità, abbia comunque mantenuto un forte legame tra il dio e la pianta che lo rappresenta(va).
Così se siamo (relativamente) certi che una delle più antiche divinità adorate dai nostri avi indoeuropei fosse il Dio del Tuono, non dobbiamo stupirci che suo simbolo e dimora fosse la quercia.
Dio del Tuono, ovvero, forza fertilizzatrice che mandava la pioggia e che faceva fiorire la terra.
Per derivazione sono infatti associati al tuono il greco Zeus, con la sua versione latina Giove, entrambi notoriamente collegati a questo albero… Il dio Donar/Thunar del popolo germanico diventa il dio norreno della folgore Thor e si collega alla sua versione mediterranea nella reminiscenza del giorno dedicato a Giove, ossia il giovedì (dies Jovis), Thursday (Thunar’s Day) in inglese.
Anche gli Slavi avevano un dio del tuono, chiamato Perun, il cui albero sacro era analogamente la quercia.
Presso Latini e Romani. I greci consideravano Zeus dio del fulmine e della pioggia, poiché egli aveva la dimora tra le alte montagne ricoperte di querce dove si addensavano le nuvole (figurate poi con l’Olimpo).
Non dobbiamo dimenticare che l’Europa si presentava anticamente molto differente da come la conosciamo oggi!
A Roma, Giove come dio della pioggia, del tuono e della quercia era venerato sul Campidoglio, in un santuario che si diceva fosse stato eretto da Romolo accanto a una quercia sacra. La corona di quercia era poi una delle insegne dei re di Alba Longa che avrebbero abitato la primissima Roma: anticamente i condottieri vittoriosi sfilavano per le vie romane vestendo ancora questo tipo di corona (poi sostituita dall’alloro). Inoltre secondo la leggenda Numa, uno dei sette re di Roma che diede all’Urbe le istituzioni religiose, si sarebbe legato in matrimonio con la ninfa Egeria associata alla quercia e forse sacerdotessa di un arcaico culto arboreo. Oggi l’emblema della Repubblica Italiana (realizzato tra l’altro da un artista valdese!) è rappresentato da un ramo di quercia e uno di ulivo.
Celti e Germani. I massimi sacerdoti celtici erano i druidi, il cui significato sarebbe proprio “uomini della quercia”. Essi ritenevano inoltre sacro il vischio, soprattutto quello nato su una quercia, considerato soprannaturale perché in grado di crescere senza radici. Pare che i druidi chiamassero il vischio “toccasana” per le sue capacità curative e fino a poco tempo fa nel Nord Italia (Piemonte e Lombardia) sembra si realizzasse un particolare olio medicamentoso ottenuto con foglie di quercia raccolte la mattina del giorno di S. Giovanni.
In ambito germanico, abbiamo già visto, la divinità del tuono e della pioggia era Donar/Thunar.
Popoli del nord. I norreni, o vichinghi, avevano trasfigurato la divinità principale del pantheon germanico in Thor, figlio di Odino, simboleggiato dal martello del tuono. Un altro dio in un qualche modo collegato alla quercia, anche se in modo più sottile, è Baldr -anch’egli figlio di Odino- che perì a causa di un ramoscello di vischio. Esistono teorie secondo cui per l’uomo antico il vischio rappresentasse l’anima della quercia: mentre il corpo, rappresentato dall’albero, moriva apparentemente d’inverno perdendo le sue foglie, lo spirito sarebbe rimasto sempre verde… secondo quest’interpretazione, anche la figura di Baldr sarebbe una personificazione della quercia (che muore quando il vischio viene estirpato, come se il corpo venisse privato dell’anima).
Esistono moltissime specie di querce sparse sul globo, ma il tipo che godeva di prestigio e venerazione in Europa era quasi certamente il rovere.
Da nord a sud, da est a ovest, il Vecchio Continente ha dato nomi diversi a questa pianta: il latino quercus è sopravvissuto in italiano; ma un altro termine latino (usato da Virgilio) era aesculus, da collegarsi alla radice indoeuropea aig- passata poi in eiche tedesco e oak in inglese. Altro autori latini (Plinio, Cesare, Cicerone), nominano la quercia robur sopravvissuta nel nostro rovere e nel roble spagnolo. Due forme esclusive della Francia gallica sono dervos e il termine incerto cassano che darebbe l’attuale chêne.
Insomma, l’Europa è stata per così tanto tempo un fitto manto boschivo, in cui i nostri avi hanno vissuto, pregato, narrato e osservato che in qualche recesso di noi è sicuramente ancora viva la connessione che abbiamo con l’albero della quercia. O almeno, per me è così!
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