A partire dal Neolitico in tutta l’area mediterranea è attestato il culto dell’ape, considerata creatura divina e associata al sovrannaturale. I caratteri simbolici e sacri di quest’insetto sono vicinissimi a quelli della Ninfa il che fa presumere che siano entrambe figure di dee o sacerdotesse legate alle viscere della Terra madre, ubicate in grotta, connesse al femminile e alla ciclicità, alla rigenerazione e alla morte, alla capacità profetica attraverso l’utilizzo del miele e della danza rituale, nutrici di neonati e contemporaneamente dalla sessualità selvatica e creatrice.

Dea, ninfa, principessa. Il nome che deriva dal greco meli, “miele” e significa letteralmente “quella del miele”, nel significato di “colei che è datrice/che offre il miele” è Melissa; originariamente era l’ape mellifera regina di tutte le api: l’associazione era con la regina sempre fertile e gravida, ma anche l’operosa figlia che diventa guerriera se deve proteggere l’alveare. Rappresentava la Dea della natura selvaggia, della trasformazione dopo la morte e della periodica rigenerazione… le sue ali d’oro indicavano la rinascita, proprio come quelle della Gorgone (non a caso le due figure leggendarie nascono nell’antico bacino del Mediterraneo e in terra cretese, forse entrambe espressioni della stessa primitiva divinità, la Potnia).
Da originaria dea vergine e libera a principessa cretese nel mito greco: diventa donna mortale nella lettura patriarcale della nascita di Zeus, dove è la figlia del re Melisseus, che nutre il neonato con il miele tanto che, una volta cresciuto il dio, Melissa si vede trasformare in ape come segno di ringraziamento.
In alcune versioni è la Ninfa del miele che mantiene evidentemente il suo ruolo di Sacra nutrice… Il topos delle api nutrici si ritrova in altri racconti mitici: sono sempre loro ad aver nutrito Dioniso e Meliteo, uno dei figli di Zeus. Si ritiene che il tema delle ancelle divine o semidivine che accudiscono un neonato sia da far risalire ai culti delle Dee madri pre-ellenici, sopravvissuti nella figura delle ninfe kourotrophoi.
Melissa diventa una principessa per giustificare la sua importanza nella mitologia olimpica secondo uno schema che abbiamo già visto con il mito di Caria: i tratti selvaggi e liberi di queste sacerdotesse (o dee madri) è addomesticata dal patriarcato che le rende mortali e subordinate a una figura maschile. Secondo gli studiosi, il re Melisseus sarebbe stato in realtà figlio della Melissa sacerdotessa, quando non Melissa stessa tramutata in una personaggio maschile.

La sacerdotessa. Un’altra Melissa della mitologia era invece sacerdotessa di Demetra e depositaria dei riti misterici della Dea; per il suo rifiuto di condividere le sue conoscenze con le insistenti paesane non iniziate subì una terribile fine, fatta a pezzi dalle donne in collera. Demetra ebbe poi pietà della sua fedele servitrice e la riportò in vita sotto forma di sciame d’api (il volo dell’ape è sinonimo dell’anima che s’invola verso altre realtà? Si credeva che uno sciame volasse via dal corpo di toro*, come doppio dell’anima). In questo caso l’accento si pone sul ruolo di custode del culto misterico disposta a sacrificare perfino se stessa; ma non deve passare in secondo piano la sua connessione con il tema dell’immortalità, già visto nella metamorfosi per opera di Zeus. L’ape è l’insetto che incarna il mistero ed è simbolicamente un doppio dell’anima, come il miele nascosto dentro di noi, quasi fossimo un alveare con le sue dimensioni esterna e interna… d’altronde sono attestate tombe neolitiche di neonati ricavate proprio dai favi.
Le sacerdotesse del culto di questa dea (Melissa o Demetra, come sfaccettature della più arcaica unica Dea) erano dette melissai, ovvero api, e ne custodivano i riti misterici proprio come gli insetti sono devote alla loro regina: nel mondo arcaico api e sacerdotesse erano la medesima cosa e Melissa era la madre spirituale. Sembra inoltre che il miele venisse donato alle sacerdotesse oracolari prima della divinazione per accrescerne le capacità, tanto che la profetessa più celebre del mondo greco, la Pizia di Delfi, è talvolta nominata come Melissa.

Cera e miele. L’ape è indissociabile da due prodotti dell’alveare: cera e miele. Nelle leggende del Nord Europa l’ape viveva sottoterra assieme alle fate e affiorava in superficie a primavera rappresentando la rigenerazione ciclica, come il serpente; il legame con la sfera ctonia le donava inoltre virtù profetiche per cui osservarne il volo era un buon modo per trarne auspici. E dalla cera si ottenevano i fondamentali strumenti per rischiarare il buio, sia tangibile che simbolico, ovvero le candele.
Il miele è essenza della natura, come prodotto che deriva dai fiori e dalla potenza ed esuberanza primaverile… non a caso è il primordiale nutrimento divino. Negli uomini può essere consumato sotto forma di liquido, melikratos o idromele, che provoca un’euforia che si credeva provenisse dalle sfere divine e che là riportasse, in stato di estasi. Era anche simbolo di morte e rigenerazione, per questo veniva adoperato nei rituali di immortalità e rinascita, come libagione durante i riti funebri e come offerta alle divinità infere. Il miele è un elemento a cavallo tra le dimensioni umana e divina, addomesticata e selvatica ed era l’unico alimento che si poteva dare ai neonati.

Api-ninfe. Il culto delle api ha in definitiva molto in comune con quello delle ninfe: entrambe vivono al limitare della dimensione civilizzata… il bosco, le acque di sorgente, le grotte sono tutte dimore che hanno in comune (allo stato brado le colonie questi insetti s’insediano spesso nelle caverne). Il tema della grotta-ninfeo è celebre, presente anche nell’Iliade, ed è la figurazione di un santuario con le sue sacerdotesse vergini. Ma nella mitologia greca sono numerose le grotte abitate pure dalle api che, abbiamo visto, sono spesso le sacerdotesse divine che nutrono più o meno ritualmente i giovani dei, Zeus su tutti.
Il nesso api-ninfe-acque ci riporta a un periodo antico della storia e del pensiero religioso umano, ovvero alla Preistoria e al momento in cui l’acqua non era ancora controllata a scopo agricolo, ma era libera epifania del sacro. La grotta, che è anche il grembo della Madre Terra, è luogo dove sgorga l’acqua di sorgente e dove le fonti rappresentano il confine tra mondo umano e mondo sotterraneo divino. Se le api risiedono nello stesso luogo simbolico, sono anch’esse manifestazione della divinità, e se lì si trova il ninfeo, la sovrapposizione ape-ninfa diventa davvero probabile.

* Scrive a tal proposito Gimbutas: “L’idea di rigenerazione veniva drammaticamente concepita come la nascita di una giovane vita da un toro sacrificato. Si trattava di una funzione stagionale delle acque datrici-di-vita, simboleggiate dal toro, la cui particolare forma può essere stata suggerita da un fenomeno naturale osservabile, seppur misterioso: l’improvvisa comparsa di uno sciame d’insetti nella carcassa dell’animale”. L’archeologa rileva poi come l’immagine dell’ape sia associata al bucranio, ovvero il teschio bovino, entrambi epifanie della Dea (testa e corna di toro sarebbero simbolo di fertilità per la loro straordinaria somiglianza con l’utero e le tube di Falloppio femminili).