Se facciamo una rapida ricerca sul web, la prima notizia (quindi quella più diffusa, non necessariamente vera, ma più detta e perciò condivisa) è che la suddivisione in quattro parti dell’anno solare, le Stagioni, sia da far risalire ai Greci.
Interessante. Anche perché, se si cerca di collocare il materiale mitologico e leggendario dei tempi andati nel contesto stagionale -ve l’assicuro perché lo faccio da tempo, ci si scontra sempre con un’unica spartizione: stagione calda e stagione fredda.
Mi fa sempre un po’ ridere quando la garanzia della nostra “cultura” viene fatta risalire ai Greci o ai Latini come certificato di autenticità (= se lo hanno inventato i Greci o lo dicono i Romani dev’essere così; mentre se è una roba pagana -non nel senso di non cristiana, eh. Intendo proprio che arriva dai pagus, dalle campagne contemporanee alla polis e all’urbe- è sicuramente frutto dell’ignoranza del volgo e perciò meno valida). Eppure, più si studia l’Umanità e più ci si accorge che questo spaccare il capello in quattro a volte è più figlio della modernità che non dell’unità primordiale (oh, poi non devo dirvelo io che il tempo si conta perché è conteggiandolo che se ne trae profitto. Ma qui siamo in tutt’altra pagina della Storia). Torniamo a noi. L’anno, solitamente, era diviso in due: freddo e caldo, buio e luminoso.
La dea dell’oscurità. Secondo quanto si apprende, a dar retta a Marija Gimbutas tra gli altri, l’anno era suddiviso in stagione chiara e stagione scura e noi, in questo giorno che leggete, siamo nel cuore del periodo buio dell’anno, simbolo dell’aspetto notturno della dea Datrice di vita.
Quella stessa Dea Uccello, o Dea della Morte e Rigenerazione, senza la cui azione non sarebbe possibile la circolarità su terra, per cui saremmo immersi in una realtà statica (e forse… vecchia).
L’identificazione dell’inverno con la morte è tanto vicina nella realtà, basta guardare cosa accade alla vegetazione fuori dalla finestra, quanto di origini lontane nel nostro pensiero.
Tutte le figure femminili -terribili e vecchie- dell’inverno hanno in comune l’idea di essere ossute: Perchta, Holle, Ragana e Baba Yaga appaiono come “ossa” oppure come “streghe dalle gambe ossute”; i fiocchi di neve luccicanti sono talvolta assimilati a ossa di streghe e questo perché, nei racconti popolari e nel folclore di mezza Europa, prima della Strega, prima delle dee invernali citate, vi era la rigida Bianca Signora (bianca perché colore dell’osso = colore della Morte).
Il colore dell’osso. Oggi, se dobbiamo immaginare la Morte per come ce la propone la comunicazione di massa, c’immaginiamo un personaggio nero vestito con la falce in mano. Un ampio mantello copre il cadavere ossuto (ad eccezione del teschio): si tratta di una donna o di un uomo? Lo scheletro -salvo esami forensi degni della scientifica- è neutro. Ma in buona parte del folclore europeo attuale non è così, Morte è ancora antropomorfica e femminile, alta, con gambe scheletriche e vestita di bianco. L’aspetto ossuto è uno stereotipo che compare nel Paleolitico superiore e che si mantiene per tutta l’Età del Bronzo: la Morte è nuda, rigida come un osso (come una salma), con un triangolo pubico sovrannaturale (per dimensione e forma), talvolta è mascherata e sottile, eccetto nel Neolitico, dov’è raffigurata massiccia e rotonda, ma non obesa.
Perché l’osso è simbolo della morte? Contrariamente a quanto si possa pensare, anche per l’Europa occidentale è attestata in antichità l’esposizione del cadavere: i corpi erano lasciati all’azione degli uccelli rapaci che li spolpavano fino a ridurli a nude ossa, solo dopo venivano seppelliti.
Nell’Europa antica la Morte era sinonimo di ossa secche. E bianche.
La morte umana come morte della natura in inverno. Se immaginiamo questa divinità femminile che regola la vita umana, “un’unica dea lunare del ciclo della vita” per usare le parole di Gimbutas, ci ritroviamo facilmente davanti la coppia Artemide/Ecate, dove la “Signora delle creature selvagge” appare nei due aspetti di inizio (Artemide) e fine (Ecate).
I domini della Dea invernale sono la notte e la stagione fredda, si manifesta in prossimità di aperture e di ingressi dell’abitazione, specialmente alle finestre… tutti luoghi liminari che sono oggetto di tradizioni e usanze -anche e soprattutto- nei Dodici giorni e che hanno un’eco nella scopa della nostra Befana: la scopa, prima di essere una cavalcatura, serviva a sbarrare l’accesso alla casa alle streghe.
Secondo Gimbutas, la Morte così evoluta, ha pure un’insaziabile appetito, può mutarsi in qualsiasi forma ed è più spesso udita che vista. Tutte queste sue caratteristiche ci sono ben note perché, non solo nel folclore europeo è diventata la Strega, ma sono tutti tratti peculiari pure della nostra versione locale alpina, la Masca. Alcuni di questi elementi (il volo sulla scopa, la nudità, la vecchiaia) ci sono straordinariamente familiari perché, mentre gli inquisitori erano intenti a combattere una presunta setta di streghe, dal ‘500 in poi i libri stampati si riempirono di storie e illustrazioni che le vedevano protagoniste, andando così a formare un preciso immaginario della strega e dei suoi incontri notturni, i sabba.
Non più una produzione di manufatti per venerare una Dea quindi, ma una produzione di oggetti per distruggerla.
Per approfondire.
La vecchia per eccellenza, la Befana.
La scopa (e altre info stregonesche!).
Piccola guida sulle Masche.
Il bianco come colore della morte.
Le altre dee invernali: Strenua, Baba Yaga, Holle e Perchta.
La Giubiana, la strega nostrana di gennaio.
La tradizione di bruciare la Vecchia.
Recentissimo post su Ecate.
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