«La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
con le toppe alla sottana
viva viva la Befana!»

Il nome deriva dalla corruzione lessicale della parola greca ἐπιφάνεια (epifania, manifestazione) e indica la figura che chiude le festività natalizie, originaria di alcune regioni italiane e praticamente sconosciuta nel resto del mondo: una tenera vecchina che, volando sulla scopa, va a riempire di dolciumi o carbone le calze appese dai bambini nella notte tra il 5 e il 6 gennaio.
Ma se epifania significa “manifestazione”… quale presenza doveva rappresentare questa festa? Molto probabilmente si tratta della Natura stessa, così come concepita nei culti agricoli, dove l’anno trascorso -pronto a rinascere come nuovo- viene raffigurato tramite un personaggio anziano e benevolo.

Nasce a Roma? I Romani celebravano la Natura che moriva e rinasceva la dodicesima notte dopo il solstizio invernale e credevano che, nelle precedenti dodici notti, delle figure femminili volassero sui campi arati per propiziarne la fertilità (credenza che avrebbe donato il carattere volante alla Befana). Chi fosse la divinità femminile a capo di questo corteo non è chiaro, potrebbe trattarsi di Diana col suo seguito di ninfe, oppure altre dee minori come Satia o Abundia, rispettivamente preposte alla sazietà e all’abbondanza. Ad ogni modo, per moltissimo tempo si ritenne che queste figure sorvolassero le campagne nella prima settimana di gennaio influenzando la sorte dei semi, evitandone il congelamento e la morte. Le novene per la neve a Diana sopravvissero a lungo e vennero modificate dal cattolicesimo dedicandole alla Madonna delle nevi, per cancellare ogni traccia di paganesimo dalle campagne italiane. Altri ricollegano invece la figura della Befana alla dea Strenua in onore della quale, vuole la leggenda, a partire dalla fondazione di Roma da parte di Romolo ci si scambiavano regali e fasci di rami verdi prelevati dal bosco sacro alla dea in segno di prosperità.

O è un prodotto culturale europeo? Impossibile, dopo aver conosciuto alcuni yulers del centro e nord Europa, non pensare alla figura di origine celtica Perchta/Bertha oppure a Holda e Frau Holle: sono tutti personaggi femminili anziani che rappresentano la stagione invernale. Potrebbero anche rappresentare la Megera, uno degli aspetti delle dee tripartite (le altre sono la Vergine e la Madre) e oggi hanno dato vita alla figura folclorica della Hag; ma se è vero che “l’Epifania tutte le feste si porta via” non può senz’altro passare in secondo piano il ruolo di chiusura del ciclo stagionale che queste figure rappresentano: il solstizio d’inverno segnava infatti il passaggio dal vecchio anno al nuovo, dal freddo e dal buio al ritorno della luce e del calore.
Tutto nell’immagine della Befana richiama il concetto di Vecchio: il corpo rattrappito dal freddo e dalla fatica, l’aspetto trasandato di chi non ha più la forza per curarsi, scarpe e abiti logori dall’uso e dal lavoro in campagna. La Befana richiama alla mente i fantocci che vengono bruciati alla fine dell’inverno e le cui ceneri servono come elemento vitale da spargere nei campi per garantire la fertilità della nuova stagione. A questa tradizione di bruciare la Vecchia sarebbe da far risalire anche il legame indissolubile tra la Befana e il carbone: lasciato nelle calze appese al camino assieme ai dolci, e non al posto di questi!, sarebbe stato simbolo di rinnovamento e augurio (a differenza di quanto poi veicolato dalla morale cristiana, per cui il carbone sarebbe la punizione per i bambini comportatisi male). Inoltre, il ceppo che veniva bruciato nelle campagne nel periodo natalizio, veniva riacceso ogni sera dal giorno del solstizio o vigilia di Natale proprio fino all’Epifania.

Interferenza della Chiesa e affrancamento della Befana. Il Cristianesimo cominciò presto a condannare riti e credenze pagane, definendole diaboliche, ma erano tradizioni così radicate nel popolo contadino che la figura femminile legata ai culti agricoli, pur subendo nei secoli delle variazioni, è giunta ugualmente fino a noi. E meno male, perché la Chiesa tentò in tutto e per tutto di tramutarla in una strega, senza però riuscirci: inizialmente condannata, venne poi gradualmente accettata come simbolo di dialogo tra il bene e il male, richiamando da un lato Santa Lucia che portava doni ai bambini e dall’altro una nonnina non davvero cattiva, ma solo un po’ scorbutica con gli adulti.
Ma non si tratta di una strega: la Befana non porta il tipico cappello a punta, ma un fazzolettone in testa; ed è una vecchietta affettuosa che vola sulla scopa che serviva a purificare le case in vista della primavera.
Soffermiamoci sulla scopa, altro simbolo distintivo dopo il carbone: la Befana in realtà cavalcava la sua scopa tenendo le ramaglie davanti, al contrario perciò di come viene raffigurata oggi per influenza delle streghe! Il simbolo della scopa è antichissimo: veniva appoggiata in epoca romana accanto alla porta o al camino per impedire agli spiriti malvagi di penetrare nell’abitazione e c’è chi pensa che il Colle Viminale di Roma derivi il nome dal Salix Viminalis, un tipo di salice con cui si facevano le scope sacre.

Un’ampia panoramica sul culto agricolo di Diana come origine della stregoneria in Europa si può consultare in Storia notturna di Carlo Ginzburg.
Per approfondire il tema della stregoneria si possono studiare le vicende delle Masche mie e di Penna spuntata!
Infine per la valenza culturale dei Dodici giorni, tra Natale e l’Epifania, si possono consultare i calendari dell’Avvento degli scorsi anni.