Le streghe del folclore piemontese sono, abbastanza comunemente, chiamate Masche. L’etimologia del termine non è ancora stato chiarito… potrebbe derivare dal provenzale ammascar, “borbottare” (da intendersi come borbottare formule e incantesimi); ma alcuni studiosi lo fanno risalire alla parola latino medioevale, di origine germanica masca, che significa “maschera”.
Ve ne parlo qui sotto con dovizia di causa per quel che riguarda il mio background culturale, ovvero quello delle Valli Valdesi: nel diciassettesimo secolo nelle valli la stregoneria era un dato di fatto e tutti vi credevano, ma quali erano le particolarità delle masche? Quali elementi le rendono particolari e quali invece le calano nel più ampio contesto europeo? Se, infine, il tema della stregoneria vi affascina leggete tutto il post: in fondo vi svelo cosa c’è in serbo per voi quest’anno!

Gettiamo la maschera. Le prime attestazioni dell’epiteto “masca” collegato alla stregoneria si possono rintracciare in alcuni testi longobardi come l’editto di Rotari, promulgato nel 643, che recita: Nullus præsumat aldiam alienam, aut ancillam, quasi strigam, quæ dicitur Masca, occidere. Altrove possiamo leggere: Si quis eam strigam, quod est Masca, clamaverit, etc. dove “masca” diventa a tutti gli effetti sinonimo di striga, con il significato di qualcuno che procura del male a qualcun altro, quindi propriamente strega. Successivamente, alla fine del XII sec., Gervasio di Tilbury identifica la parola masca con lamia, un’apparizione notturna che produce un senso di pesantezza opprimente e altera il sonno: Lamias, quas vulgo Mascas, aut in Gallica lingua strias, Physici dicunt nocturnas esse imagines, quæ ex grossitie humorem animas dormientium perturbant, et pondus faciunt.
Se masca/mascha è da identificarsi con la maschera che, posta sul volto, altera l’identità dell’individuo si può ipotizzare la connessione anche con il termine larvatus, ovvero un individuo che indossa una maschera, e che rimanda al termine larva, che denotava un demone, uno spirito. Il teologo del VI-VII secolo Isidoro di Siviglia, scrive come “le Larve fossero in origine uomini condannati a divenire demoni per la loro cattiveria”. Larvatus era però anche colui che era larva indutus, ossia vestito da larva, e quindi posseduto da uno spirito. Siamo perciò di fronte all’idea che indossare un costume o una maschera rappresentante uno spirito significasse tanto rappresentarlo che esserne posseduto e personificarlo.

Esempio locale. Secondo il prof. Jalla, che scriveva negli anni Venti del secolo scorso, nelle Valli Valdesi al precedente sostrato ligure cui si devono i racconti di fate, vennero poi ad aggiungersi e/o sostituirsi le credenze germaniche degli invasori barbari che portarono in quei luoghi gli elementi narrativi legati alla strega, all’uso di talismani e ai rimedi strambi e disgustosi.
Le masche del folclore valdese, qui usato geograficamente e non con il valore della confessione protestante, non rappresentano una peculiarità locale, non sono cioè una categoria definita e specifica come le colleghe fantine, le fate di queste valli. Derivando però da un contesto particolare come, appunto, quello valdese si possono intravedere alcune significative caratteristiche. Nelle poche compilazioni del repertorio leggendario valligiano emerge che i Valdesi, seppur pragmatici montanari, erano disposti a credere alla stregoneria e, anzi, era per loro l’unica attestazione di forze sovrannaturali (oltre a quella propriamente divina). Non si trattava di una superstizione popolare, era un pensiero diffuso soprattutto tra chi era credente e aveva studiato, e la conferma dell’esistenza della stregoneria era confermata dalla Bibbia stessa. Una curiosità: per i Valdesi raramente streghe e stregoni -che prendono il nome di mascoun– sono in affari assieme e mancano quelle “forme ed espressioni indecenti”1 tipiche del sabba come il sesso e le profanazioni. Ma ancor più curioso è che l’immagine dello stregone sia stata cucita addosso agli antichi persecutori, i cattolici… ecco allora che il prete può rivelarsi un lupo mannaro e gli stregoni-animali vengano avvistati, e raccontati, spesso nei pressi di chiese e cimiteri cattolici*.

Dalle Valli all’Europa. Altre caratteristiche delle masche valdesi le calano nel contesto europeo, andando ad allinearsi ai grandi tema del sabba: spesso infatti questi personaggi erano legati a doppia mandata agli animali (per lo più cani, maiali, cavalli) di cui potevano prendere le sembianze e si riteneva ancora alla fine del XX secolo che esistessero preziosi libri di magia, con i quali streghe e stregoni trasmettevano il proprio sapere occulto. Le accuse di stregoneria erano poi solitamente legate a famiglie specifiche oppure rivolte all’intera popolazione di una borgata.
In definitiva possiamo riassumere con le parole di Marie Bonnet la natura delle masche valdesi: “Sono spiriti particolari, che si trasmettono i loro poteri di generazione in generazione e possono, grazie a poteri segreti, magnetizzare, nuocere gravemente ai loro nemici, e spesso persino causare la loro morte”.

Se abbiamo visto come in un piccolo areale, quello delle Valli Valdesi, il concetto di stregoneria sia mutato nel corso di una manciata di secoli, immaginiamo cosa possa essere successo nel resto d’Europa! Ebbene, è questo il viaggio che vi propongo di fare quest’anno, un po’ sulla falsa riga di quanto fatto nel 2021 con le Madamine Mitologiche… Ogni mese vi porterò alla scoperta di una strega o stregone specifici e, attraverso la loro storia, prenderemo spunto per parlare di quel grande fenomeno culturale che è stato la Caccia alle streghe. Ma attenzione, non sarò da sola a farlo: grazie all’idea di Lucia di Una penna spuntata questo progetto si sdoppierà accogliendo sul suo blog l’analisi storica del personaggio del mese, mentre qui potrete scoprire tutte le chicche dello studio delle Madamine Masche!

Ci vediamo perciò la prossima settimana con la streghetta di gennaio!

* Fino al 1848, anno in cui vennero emesse le Lettere Patenti che concedevano la libertà civile ai Valdesi (motivo per cui il 17 febbraio è festa nelle valli), le salme di chi non era allineato alla religione di stato, quella cattolica, dovevano essere seppellite nei campi e lontano dal perimetro consacrato. Di fatto, prima di questa data, nella Valli Valdesi i cimiteri erano tutti, per definizione, cattolici.

1Marie Bonnet, Tradizioni orali delle Valli valdesi del Piemonte.