Per quest’ultimo articolo del 2021 ho pensato di parlarvi di un momento che da sempre è il ponte tra il vecchio anno e il nuovo; ci leggiamo nel 2022, i miei più sinceri auguri!

Ci sono periodi, nel corso del fluire dell’anno, che diventano momenti rituali in cui il tempo è in qualche modo fuori dal tempo:“Il momento festivo [è una] sorta di sospensione del tempo ordinario, di spaccatura, che apre una connessione tra i mondi e quindi permette una comunicazione tra i vivi e i morti”. Proprio questo rappresentavano i cosiddetti Dodici Giorni, ovvero il lasso di tempo tra Natale ed Epifania, cruciale nell’antichità perché i cicli lunare e solare dell’anno andavano a raccordarsi… era una situazione del tutto speciale e qualsiasi cosa poteva accadere. O meglio, se qualcosa doveva accadere, quello probabilmente era l’attimo più favorevole perché succedesse.

Tempo sospeso. Dunque questo era il momento in cui la dimensione dei vivi e quella dei morti potevano collimare e nei villaggi irrompevano le maschere che rappresentavano gli spiriti dei defunti piombati nel quotidiano, per chiedere doni e offerte, ma recando anche “le forze generative e riproduttive di cui abbisognano i campi, gli animali e la stessa comunità umana”. Tracce di queste credenze sarebbero da ritrovarsi nel Plough Monday britannico, una giornata (un lunedì) dedicata all’aratura rituale e da eseguirsi nei Dodici Giorni. In quanto periodo fuori dal tempo, questo era anche il momento in cui si celebravano le Feste dei Folli e il normale ordine sociale subiva un temporaneo rovesciamento.

Da due mesi a dodici giorni. Si ritiene che in epoca cristiana con la denominazione dei Dodici Giorni si volesse anche andare a indicare tutta l’impalcatura rituale nordica che confluiva sotto la denominazione di Yule: sappiamo che anticamente per le popolazioni norrene il periodo di Jól era rappresentato dagli odierni mesi di dicembre e gennaio, con il cardine del solstizio invernale. Si trattava di un tempo sospeso, di transizione e spazio intermedio tra l’anno che finisce e il successivo che inizia, in cui i veli tra i mondi si facevano impalpabili e si poteva entrare in comunicazione con la dimensione degli antenati… non per nulla questo era il momento in cui Odino/Wodan conduceva la schiera di defunti della Caccia Selvaggia.

Un fuoco di dodici giorni. Anche il ceppo di Yule di cui abbiamo parlato lo scorso anno fa riferimento ai Dodici Giorni poiché esso doveva ardere, senza spegnersi mai!, proprio dal 25 dicembre all’Epifania: le sue ceneri venivano disperse nei campi per aumentarne la fertilità, ma in parte erano conservate in casa perché si riteneva che proteggessero dalle forze malevole che, rese più forti dalla particolare condizione temporale, cercavano di fermare il solstizio e ostacolare il ritorno del sole (i rami di sempreverdi e le luci con cui venivano addobbate le case erano un modo per sconfiggere gli spiriti negativi e favorire il superamento di questo passaggio cruciale dell’anno). Un frammento del vecchio ceppo era poi tenuto da parte fino al Natale successivo per accendere il nuovo tronco, quasi una personificazione tra il ceppo e l’anno stesso; in diversi paesi, Italia compresa, al ceppo si offrivano cibi e bevande: il suo calore era in grado di accogliere gli spiriti dei defunti e degli antenati presso il focolare e questi, grazie alla visita in casa, se ne andavano lasciando un po’ di quel potere fertile e benaugurante che proveniva dal mondo infero dell’aldilà (talvolta il ceppo era la personificazione degli antenati medesimi e portava dei doni ai bambini).