Nel paese in cui è nato mio papà esiste una piccola grotta naturale chiamata Pertus d’le Fantine (cioè “nascondiglio delle fate”) dove si credeva un tempo si nascondessero gli esseri fatati che abitavano le rocce poco distanti… Non c’è una leggenda precisa legata a questo luogo, se non che di notte le fantine uscissero dalla grotta per ritornarvi all’arrivo del sole.
Tutte le fate delle Valli Valdesi sono creature notturne, che vivono in anfratti rocciosi: forse perché l’origine di questa credenza risale al periodo del Neolitico, quando l’area era abitata dai Liguri, che praticavano culti di fertilità collegati alla Luna.

Spiriti lunari legati alle rocce. Sulla Rocca di Cavour (all’imbocco della Val Pellice, luogo che mi ha dato i natali) sono presenti raffigurazioni femminili preistoriche, probabilmente legate al culto della fertilità… Non a caso si parla della Rocca nella più famosa leggenda valligiana sulle fate (potete leggerne una versione qui). Gli antichi popoli del Nord Europa credevano che non si dovessero disturbare gli spiriti che abitavano nelle rocce, creature che vivevano già lì prima dell’arrivo dell’uomo e che non se sarebbero mai andati… Nel Cuneese, territorio non troppo distante dalla Val Pellice ma di forte tradizione cattolica, i luoghi sacri delle fate sono diventati dei santuari dedicati alla Madonna.

La fata che fila. Nelle antiche leggende c’è poi il tema del filo illuminato dalla luna… proprio lo stesso elemento che ha dato il nome alla Roccha Filera di Angrogna (siamo sempre in Val Pellice): vi siete mai chiesti da dove arrivi l’espressione “vita appesa a un filo”? Anche altri popoli del passato credevano che la vita degli uomini dipendesse da un filo custodito da divinità femminili… Per i Greci erano le Moire, per i Norreni erano le Norne e i Romani avevano le Parche; proprio i Romani usavano la parola fatum al singolare per indicare il destino, ma per esprimere la sorte assegnata a ciascuno di noi usavano il plurale e cioè… fata!

L’acqua che dà vita, l’acqua che distrugge. In alcune aree del Piemonte, le coppelle (piccole incisioni rupestri coniche dal significato ancora poco noto) sono chiamate tazzine delle fate e si pensa che, riempite d’acqua, fossero collegate alle fase lunari. Qualcuno ha definito le fantine come “sirene della montagna”: creature incomprensibili, tendenzialmente benevole, pronte ad aiutare i montanari in difficoltà, insegnando tecniche per la lavorazione del latte e della cera o regalando tesori. Viene preteso però grande rispetto e quando i loro segreti vengono rivelati, si vendicano senza pietà scatenando spesso la forza dell’acqua, altro elemento a cui sono associate. Un tema ricorrente nelle leggende di queste antichissime divinità alpine è la partenza delle fate: in diverse località si narra come le fantine tradite se ne vadano per sempre, con i loro misteri e la loro ricchezza, richiamando il mitema (nucleo narrativo della narrazione mitica) dell’Età dell’oro.

Le fate innamorate. Le stelle alpine sono chiamate anche lacrime di fata poiché, secondo una leggenda alpigiana, sarebbero nate dal pianto di una fata divenuta mortale per amore di un contadino che la tradì. In effetti esistono diversi racconti che narrano di un amore (sempre finito male) tra un essere sovrannaturale e un umano, a rappresentare l’impossibilità di avere una stirpe frutto dei due mondi. Un tema di derivazione celtica vuole che le fate rapissero i bambini per poterli allevare nelle proprie comunità e garantirsi così una discendenza: questo aspetto potrebbe essersi sviluppato nelle Valli Valdesi nei racconti di masche (le streghe locali) che parlano di rapimento.

Altro che bacchetta magica! L’oggetto che potrebbe collegare l’universo delle fantine con la storia locale non è la favolosa bacchetta, quanto piuttosto… l’ascia da guerra! Le accette, attrezzi indispensabili per il montanaro, furono tra i primi manufatti realizzati dall’essere umano preistorico, ma sono state ritrovate anche lunghe asce ben levigate affatto adatte al lavoro, oggetti da cerimonia usati in scambi tra tribù: le zone alpine di cui stiamo parlando sono ricche di rocce verdi, giadeiti e serpentiniti, anticamente utilizzate per fabbricare asce oggetto di scambi commerciali con il resto del continente… esemplari intagliati sui versanti del Monviso sono stati rinvenuti ai quattro angoli dell’Europa: dalla Danimarca alla Sicilia e dall’Irlanda al Mar Nero!
Le grandi asce erano certamente destinate a personaggi potenti, oggetti sacri o doni il cui reale valore oggi non è esattamente percepibile, ma non stupisce che di tali oggetti sia sopravvissuto in alcune leggende di questi luoghi il ricordo associato al sovrannaturale attraverso le fantine; il materiale è però trasfigurato da giada a oro, tipico degli oggetti magici delle fiabe (puoi leggere alcuni esempi qui).

N. d.r. Le leggende linkate nel testo sono oggetto di anni di ricerca da parte mia e di Leonora Camusso e sono tutte contenute nel blog per bambini valdesina.it
Per altri contenuti sulle fantine potete accedere a questo mio vecchio post, versione semplificata di quello che avete appena letto.