Chi è quindi Dioniso? Domanda difficile che forse non si esaurirà mai: questo dio sembra sfuggire alle definizioni precise e poco definiti sono gli stessi tratti che lo dipingono. Selvatico, giovane, esuberante… ma anche orfano, osteggiato, furioso. Forse non c’è un solo Dioniso come non rivestiamo una sola maschera, non giochiamo lo stesso ruolo per tutta la vita neppure noi. A differenza degli dei dell’Olimpo così costretti dal loro personaggio, così vincolati alle proprie sfere d’azione e, per questo, anche un po’ ridicoli e caricaturali, Dioniso è una di quelle divinità arcaiche la cui complessità, in fondo, lo rende più vicino all’umanità.

Un dio fanciullo. Dio-niso, significherebbe “il figlio di Nisa”: per i Greci era un monte, ma potrebbe indicare anche il nome di una ninfa che, preso in custodia il neonato da Hermes sul monte Elicona (dell’edera) secondo l’ennesima versione del mito, lo avrebbe nutrito con il miele. Il miele (idromele) e l’edera davano vita a bevande inebrianti, che facevano parte dei riti di Dioniso, e nel mito questo sarebbe sopravvissuto tramite la leggenda del dio che aveva inventato il vino sul monte Elicona. Abbiamo sostenuto che Dioniso sarebbe il vero paredro della Madre Terra nel culto arboreo: ugualmente allo Zeus cretese, figlio di Rea, che già appariva come una versione più recente dell’arcaico dio degli alberi, più e meglio ne incarna il ruolo Dioniso, soprattutto per il suo essere un dio essenzialmente figlio.
La mortalità di Dioniso (necessaria a un dio della vegetazione, per il suo rinnovamento stagionale) era spiegato dai più moderni e razionali Greci, che si erano scordati dei culti antichi, nella sua discendenza: figlio di un immortale e di una mortale, essendo ucciso in infanzia, è destinato a restare sempre un fanciullo, al massimo un adolescente accompagnato dal precettore (Sileno). E pur essendo a capo di culti licenziosi, l’unica unione importante del dio è con Arianna e le donne che lo circondano, più che amanti, sono madri o nutrici, comprese le Menadi.

Il tema del sacrificio. Che fosse umano, animale o arboreo, il sacrificio cruento aveva una funzione ben precisa: serviva a ristabilire, rimettere in circolazione le energie che sono state prese in prestito e che un giorno bisogna restituire (sotto forma ci cibo raccolto o cacciato; addirittura si potrebbe dire di acqua bevuta e aria respirata).
Ma, nel caso specifico di Dioniso, due erano gli animali sacrificati: il capro e il toro, entrambi celebri per vigore generativo e carattere sanguigno.
Il toro passa per essere animale sia riproduttore che distruttore, fecondo nella sua “incontrollabile violenza”, e assimilato al dio nel suo delirio; appariva in questa forma alle Menadi e Zagreo, supposta versione arcaica del dio cretese, aveva sembianze di toro quando venne fatto a pezzi (e per commemorarlo a Creta si dilaniava un toro vivo i cui pezzi venivano poi sparsi nei campi, secondo un’usanza che è giunta fino a tempi recenti in tutta Europa).
Il capro era rappresentato dai satiri -metà uomini e metà capri- erano compagni di Dioniso, facevano parte del suo corteo, e Sileno stesso era stato precettore del dio; il capro impersonava “l’ardore ostinato dell’istinto sessuale” e apparteneva alla dimensione infera e della morte (il Flamen Dialis, il sacerdote di Giove a Roma, non poteva venire in contatto con l’edera, né il capro).

Dioniso come sciamano. L’improvvisa esuberanza della natura (fregola degli animali e fioritura dei vegetali) è specchiata dai prodigi compiuti dalle Menadi: invasate dal dio, le sue sacerdotesse potevano trarre miele e latte dai fiumi, colpendo le rocce con il tirso facevano zampillare fonti d’acqua e sgorgare vino dal terreno… veri e propri miracoli.
Tutto questo rendeva però la dimensione di Dioniso governata da una sorta magia, inspiegabile e temuta dagli uomini della polis, era un “mondo stregato”; il dio appariva agli antichi come un mago e più avanti molti dei tratti del dio e delle Menadi confluiranno nella visione stereotipata delle streghe, del diavolo e del sabba.
Oggi sono sempre più numerosi gli studiosi che utilizzano, per descrivere la figura di Dioniso, il termine di sciamano. Smembramento e passaggio attraverso il fuoco, subiti dal fanciullo Dioniso, sarebbero iniziazioni sciamaniche.
Scrive Jacques Brosse: “Nella città greca, che aveva l’ambizione di essere regolata e civilizzata, quel dio arcaico dalla natura indomabile era causa di disordine e turbamento, e la biografia di Dioniso è anche la storia delle resistenze che a lungo gli sono state opposte. Dioniso finisce per trionfare, ma proprio perché egli rimetteva in discussione l’ordine costruito, ne faceva misurare il carattere artificiale e relativo. […] Ai culti ufficiali, razionalizzati e ormai impersonali della città, che si rivolgevano a dei dell’Olimpo i quali, ritiratisi in cielo, non si occupavano che da lontano delle cose della terra, si contrapponeva il culto di un dio talmente vicino all’uomo che questi poteva identificarsi con lui e in tal modo superare le propria condizione”. Secondo l’autore il senso del risveglio dionisiaco si troverebbe tutto qui, come una sopravvivenza (o un ritorno, termine adatto all’andirivieni del culto dall’Europa al Vicino Oriente,) che riaffiora in epoca storica come una sorgente sotterranea “proveniente dal più profondo della preistoria”.

Per approfondire.
Tutti i virgolettati del testo sono tratti da “Mitologia degli alberi“.
Le Menadi, le sacerdotesse di Dioniso.
Le molte funzioni attribuite a Dioniso (e i suoi molti nomi).
Altre tradizioni che accostano dei e animali.
La capra nel folclore natalizio del Nord Europa.
E la capra in un’incisione rupestre piemontese.