A ridosso della frontiera che divide Francia e Italia, sulle strette e sassose spiagge di Ventimiglia, levando gli occhi al cielo si nota uno spettacolo impressionante: una maestosa falesia puntellata di insenature e dallo sconvolgente colore della ruggine. Se è vero che quest’immagine appariva diversa agli umani che transitarono qui secoli e millenni fa (molto del fascino è dovuto al lavorio degli elementi, come vedremo più avanti), certamente questo luogo non lasciò indifferenti coloro che alzarono lo sguardo esattamente come noi. Svariati ritrovamenti, uno più bello dell’altro, raccontano una lunghissima parentesi della storia umana, ma oggi -tramite la nostra modestissima rubrica- ne racconteremo un pezzetto soltanto… quello del cosiddetto “cavallino dei Balzi Rossi”.

I Balzi Rossi: il colore, la maestosità, le insenature e la ferrovia ai loro piedi.

Un tempo qui era tutto mare. In questa zona d’Europa si sono avvicendati -nell’ultimo milione di anni- Erectus, Neandertaliani e Sapiens occupandone più o meno continuativamente le spiagge e le grotte; e soprattutto lasciando traccia di sé tramite sepolture, oggetti, ossa animali…

La stratigrafia messa in evidenza alla base dei Balzi Rossi.

La particolarissima falesia in calcare dei Balzi Rossi risale al Giurassico superiore e deve a un processo di ossidazione il suo colore rossastro, da qui anche il nome. La lunga frequentazione umana di questo sito regala una grande quantità e varietà di ritrovamenti: in grotte, ripari e a cielo aperto sono emersi sepolture, interi corredi funebri, strumenti in pietra e in avorio, statuine di veneri e resti faunistici. Ma anche la morfologia del terreno è mutata con il passare del tempo: se oggi per entrare nelle aperture della parete costiera sono necessarie scalinate e camminate, ci fu un’epoca in cui il livello del suolo era molto più alto di ora, con periodi di invasione delle acque marine (e pure l’uomo moderno ci ha messo del suo, pensate che oggi la ferrovia passa proprio accanto alle rocce e, quando la si costruì, s’intervenne con… la dinamite, ehm).

Al centro della zona bianca (ottenuta dall’analisi della roccia) quasi impercettibile c’è l’incisione.

Il cavallino inciso. Nel 1971 nella grotta più grande -e famosa per aver restituito un’eccezionale sepoltura- a 7 metri dall’ingresso venne rinvenuta l’incisione di un cavallo delle dimensioni di 39,5cm in lunghezza e 19,5cm in larghezza di stile gravettiano (Paleolitico superiore, indicativamente da 29.000 a 20.000 anni fa); realizzato in un riparo sotto roccia poco profondo, si trova su una parete molto esposta che conferisce al sito un carattere unico e una probabile funzione di santuario. Attorno e al centro al disegno del cavallo si possono osservare ulteriori incisioni lineari, un linguaggio in relazione all’animale, di cui però non si conosce l’interpretazione.

Prospettiva del punto inciso. Il nero del soffitto della grotta è dovuto in parte a effetti geologici, ma anche per il fumo prodotto da millenni di focolari e qualche decennio di locomotive.

Pietra, legno particolarmente duro e frammenti d’osso erano gli strumenti dell’umano antico per incidere e la tecnica stessa poteva variare tra linee più fini o spesse; i disegni sono inoltre evidenti grazie alla differenza di colore che si produce tra i punti incisi e il resto della roccia (cosa che doveva essere ancora più evidente all’epoca). Ma chi realizzò quest’immagine? Sappiamo che, a partire da 37.000 anni fa, qui si stabilirono i Cro-Magnon, andando a occupare grotte e ripari affacciati sul mare, che avrebbero probabilmente portato in quest’angolo di mondo il loro sistema di credenze, in cui il cavallo era inserito.
Si noti che la domesticazione del cavallo avverrà solo molto tempo dopo, ma a quell’epoca è probabile che il ruolo simbolico del cavallo fosse centrale nel pensiero umano (data anche la sua massiccia presenza nell’arte preistorica: le più ricche grotte franco-cantabriche ci restituiscono una statistica in cui il cavallo è l’animale in assoluto più raffigurato).
Questo esemplare appartiene verosimilmente alla razza del cavallo di Przewalski, tipico della steppa, ma che all’epoca abitava queste zone ancora contraddistinte dal clima freddo delle ultime fasi della glaciazione Würm.

Immagine ricavata dal calco dell’incisione.

La tomba e il cavallo. Non vi sono elementi sufficienti per collegare quest’incisione alla sepoltura già citata, se non fosse che il cavallo si trova ad altezza d’uomo rispetto lo strato di terreno datato al Gravettiano (verosimilmente chi lo realizzò conosceva benissimo il valore funebre del luogo). L’incisione si trova sulla parete opposta al cadavere inumato, il quale era ricoperto di ocra rossa e indossava un elaborato copricapo di conchiglie e canini di cervo. Il tipo di sepoltura e gli oggetti associati sono tipici del periodo gravettiano, ma ciò che la distingue è la presenza di un punteruolo di 173 millimetri deposto vicino la fronte e di un ciondolo entrambi in osso di cavallo.
Tutto ciò farebbe pensare a riti funerari della stessa sensibilità espressa nei santuari sotterranei tipici del Paleolitico superiore, senza dimenticare che i Cro-Magnon furono, al pari dei Neanderthal, una popolazione nomade: nel caso specifico la varietà dei ritrovamenti (oggetti realizzati a partire da ossa di piccoli animali terrestri, ma anche marini, così come prede ungulate) ci parla di un complesso sistema simbolico culturale, ancora del tutto misterioso!

Il panorama che si osserva dai Balzi Rossi.

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