Tra le molte decorazioni di questi giorni ritroviamo anche alcuni animali: certi sono tirati in ballo più che altro per il loro aspetto (v. anche “ci fanno schifo”), altri sono carichi di una simbologia che si perde a volte nella notte dei tempi. Oggi vi parlo brevemente di alcuni di loro… a me però piacciono tutti, e a voi?!

L’orso che scompare con il freddo. In quanto padrone delle foreste, ben prima che il Cristianesimo affidasse questo ruolo al leone (e se non vi torna, leggete subito il post “L’orso, il vero re della foresta”), la sua scomparsa dai boschi non poteva passare inosservata: il sovrano andava in letargo, i duri tempi dell’inverno avevano inizio. Tradizionalmente il letargo dell’orso cominciava in una data ben precisa, quella del giorno di San Martino. Re Artù, la cui radice del nome art- è da far risalire all’orso (esattamente come in Martino!), secondo la letteratura vernacolare sarebbe morto attorno all’11 novembre e, in base alla leggenda, la data in cui avrebbe estratto la celebre spada dalla roccia sarebbe stata il 2 febbraio -divenuta poi la Candelora– ma che nel mondo pagano segnava in realtà il momento in cui l’orso si risvegliava dal letargo, riportando con esso la primavera (in un legame simbolico tra la fine del sonno invernale dell’uno e il momento in cui il re-orso esce dall’ombra per diventare uno dei personaggi più famosi della storia europea). Il giorno di San Martino, che per i bambini era festa grande perché il santo portava loro regalini scandendo dalla cappa del camino (!), cade dodici giorni dopo il 31 ottobre/Capodanno celtico, riproponendo così lo scarto temporale dei Dodici giorni natalizi.

Il corvo e gli dei pagani. Con il suo colore nero, evocativo della notte, e il suo gracchiare ritenuto in antichità dal valore profetico, il corvo intrattiene con Halloween un legame che ricorda quello di Artù con l’orso per mezzo di un altro eroe culturale, l’irlandese Cú Chulainn. Proprio il celebre personaggio respinge la dea corvo Morrigàn e ciò ne causerà, tra l’altro, la caduta sul campo di battaglia… morte che avviene proprio nel giorno di Samhain, il 31 ottobre/1 novembre. Nella mitologia irlandese le dee che possono assumere sembianze di corvo o cornacchia sono ben tre e tutte sono preposte alla battaglia, al furore guerresco e alla profezia di morte (i soldati vedevano in sogno una lavandaia intenta a sciacquare i loro panni insanguinati); ma anche altrove questo uccello intrattiene con le divinità rapporti stretti: per mezzo dei due corvi Huginn (“pensiero”) e Muninn (“memoria”) il dio norreno Odino è in grado di vedere e conoscere tutto ciò che accade nel mondo e questo animale è attributo dei celtici Bran e Lug, di Apollo e, come cornacchia, di Atena. Impossibile che una creatura così amata e rispettata nell’ambito pagano non diventasse un essere demoniaco dopo l’avvento del Cristianesimo.

Il cervo, padrone della stagione oscura. Questo animale, celebre per le sue corna ramificate, è soggetto alla loro caduta periodica al ritorno del caldo, mentre è al culmine della forma in autunno: proprio per questo rappresenta anche e soprattutto il tempo ciclico, la longevità e la rinascita sul fare della stagione fredda. In effetti il cervo riveste un ruolo di annunciatore della stagione scura che nel calendario celtico vede l’inizio con la festa di Samhain tra il 31ottobre e il 1° novembre (divenuta oggi Halloween). Non stupisce che questo momento dell’anno fosse collegato al cervo: proprio ora i suoi palchi sono al massimo della crescita e il bosco è frastornato dai bramiti della stagione degli amori; c’è chi ipotizza che questo sarebbe anche stato il periodo in cui i cervi venivano sacrificati, un po’ come abbiamo visto essere immolati il serpente e l’orso sul fare della stagione a loro attribuita, l’inizio della primavera. Come un re momentaneamente detronizzato, il cervo perde tutto il suo vigore e la sua magnificenza con la fine del freddo, quando perde le corna.

Il rapace notturno che annuncia la morte. Le dee della guerra sono associate a questi uccelli, al corvo e al serpente velenoso: Atena, Minerva e Morrigàn sono ciò che resta della preistorica Dea della Morte e Rigenerazione, le Sirene più antiche avevano le fattezze di Arpie, metà donne e metà uccelli, e i rapaci notturni sono rimasti nel folclore di tutta Europa le creature che portano la notizia di un trapasso imminente (motivo per cui, con l’affermarsi della concezione lineare del tempo e l’idea di un abbandono definitivo di questa dimensione al momento del decesso, gufi, civette e colleghi vari sono diventati animali odiati e perseguitati perché forieri di sventura). Nella tradizione piemontese la civetta emette un verso che suona come te pìuuuu, te pìuuuu che significa “ti prendo, ti prendo”.

Il ragno e la possessione. L’essere umano non ha mai amato gli insetti (e quanti gli assomigliano, come gli aracnidi in questo caso) se non ne poteva ammirare la bellezza delle ali o l’utilità della domesticazione. Il ragno si pone ai gradini più alti di questa lista di animali disprezzati: il suo aspetto rinsecchito, scuro, talvolta peloso, suscita ai più un vero disgusto. Neppure aiuta pensare che nell’antichità avrebbe potuto rappresentare una delle Moire -le divinità preposte al destino umano- e quindi essere temuto per lo stesso motivo del compare rapace notturno… L’essere umano, dalla fine della preistoria in poi, teme e combatte gli animali che ritiene collegati alla Morte nell’illusione che, allontanandoli, possa allontanare la fine stessa. Il ragno è responsabile, nella nostra penisola, di un fenomeno culturale chiamato tarantismo e che potremmo brevemente definire come una forma di possessione… un ulteriore elemento che non lo rende certo un potenziale migliore amico!

Il pipistrello, compagno della strega. Più un animale è strano, più ha probabilità di finire nel novero di creature sataniche. Questo, più o meno, è quello che dovevano pensare gli antichi. Tipo: “Guarda che bello il cervo, un essere così elegante e slanciato, tra i cui palchi sembra d’intravedere la croce di Cristo: non può che derivare dalle mani divine. Guarda il pipistrello così… nero, così… scheletrico, così… anomalo. Non può che derivare dalle mani del diavolo!”. Se la normalità era lo standard con cui catalogare il mondo, un mammifero in grado di volare (l’unico, per altro) e di collocarsi contemporaneamente nei due mondi dell’aria e della terra, non poteva che essere il compare di quell’altra creatura disgraziata che si libra in volo di notte, la strega. La dimensione notturna, l’aspetto ripugnante (secondo molti, ma non la sottoscritta!) e le abitudini di vita fuori dal comune hanno fatto del pipistrello non solo un animale diabolico, ma ha fatto sì che le sue ali venissero prestate all’iconografia del cattivo per eccellenza, Lucifero.