Nel 1600 i predicatori protestanti si scagliarono contro il Natale poiché, in effetti allora come oggi, il Natale si presentava come l’insieme di molte altre feste, oltre quella cristiana dedicata al Redentore: il suo successo fino a noi, in questa forma variegata, è dovuta al fatto che si tratta di una festa antica che riprende e rinnova simboli e consuetudini.
Il Natale celebrava il rinnovarsi del tempo e la lotta tra le stagioni nella speranza di rinascita in un universo fatto di doni e figure sante, fatate o demoniache che è cambiato con il modificarsi della nostra vita, in particolare da quando il freddo non è più l’elemento principale dell’inverno (nessuno di noi che sta leggendo è seriamente in pericolo di morire per il gelo o gli stenti in questo momento, né entro la primavera, credo). Con l’avvento del riscaldamento ci siamo dimenticati che questo era il momento in cui ci si trovava faccia a faccia con la morte e, analogamente da quando le merci possono viaggiare facilmente in tutto il mondo, non ci dobbiamo più preoccupare se l’orto non dà frutti o se le provviste sono attaccate da topi e marciume. Ma quali provviste? Non ne abbiamo più bisogno, perché i negozi sono la nostra dispensa! Assistiamo infatti a uno spostamento fisico del teatro del Natale nel tempo: nell’Ottocento le persone confluiscono nei grandi magazzini americani, caldi e illuminati, che immediatamente rispondono ai bisogni (anche) culturali di massa: luci, candele, babbi natale… prima di convogliare il contenuto del portafogli in cibo e regali, è un cuore appagato che rende felice l’essere umano.
Non può però esserci nostalgia del passato, nessuno di noi deve permettersi di rimpiangere il caos dei Saturnali se non è, al contempo, disposto a immaginarsi spaccare il ghiaccio nel catino gelato per lavarsi la faccia al mattino (cosa che, per inciso, ha ancora fatto mio papà da piccolo).
Ma non si può nemmeno tuonare contro Babbo Natale senza domandarsi a quale bisogno esso risponda.
Babbo Natale nasce letteralmente a metà Ottocento -prima nessuno l’aveva mai sentito nominare- quando in Germania s’inizia a parlare di Weihnachtsmann e negli Stati Uniti di Santa Claus (derivazione del Sinterklaas portato dai coloni olandesi ed ennesima versione di San Nicola). Già lì è un miscuglio di vari elementi tradizionali: folletti, uomini selvatici, Wotan/Odino… tutto si cristallizza in un personaggio che, per la prima volta, vediamo in viso grazie alla matita di un illustratore (di origine… tedesca) che nel 1862 realizza un’illustrazione -in occasione della guerra civile in corso negli Usa- in cui compare Babbo Natale.
Poco più di cento anni dopo, il 24 dicembre 1951, a Digione un fantoccio di Babbo Natale viene impiccato e gettato tra le fiamme, giustiziato in nome della dottrina cristiana… una notizia che fece un certo scalpore, stuzzicando pure un celebre antropologo che si domandò cosa fosse diventato quel personaggio: nel linguaggio dell’antropologia convenne che si trattava di essere sovrannaturale e immutabile, che per di più compare ciclicamente in date fisse, e oggetto di venerazione da parte di un gruppo sociale specifico (adepti? No, i bambini) che assistono al reiterarsi del suo culto, con tanto di cerimonie e riti (la calza sul camino, lo spuntino sul tavolo, la letterina) ad opera di una categoria di addetti alla prosecuzione della tradizione (sacerdoti? No, gli adulti). Un culto antichissimo, se già nella storia romana -tramite i Saturnalia- si osservano pratiche simili, e diffuso, se l’immagine di Babbo Natale la ritroviamo nelle fattezze delle divinità nordiche. Per non parlare della sua veridicità e concretezza, tali da farne bruciare l’effige in piazza nella moderna Francia degli anni Cinquanta. Quale che sia la sua origine… Babbo Natale è ovunque attorno a noi e pare, in realtà, stare anche piuttosto bene!

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Sul tema del fare i regali.
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Lo studio a cui si fa riferimento nel testo è “Babbo Natale giustiziato” di Claude Lévi-Strauss.