La metamorfosi si compie naturalmente nel ciclo vitale di alcune specie… pensiamo al fascino dell’evoluzione da girino a rana o da bruco a farfalla: si tratta di mutare completamente forma (nel caso della rana, nello sviluppo da cucciolo ad adulto cambia persino il modo di respirare!). È in ambito vegetale che osserviamo le trasformazioni più straordinarie: quanto vi sembrano simili un piccolo seme e la sua versione cresciuta, un maestoso albero? Questa capacità, assolutamente preclusa al genere umano, non poteva essere sfuggita agli antichi… che l’hanno infatti addomesticata nel repertorio mitico di moltissime culture, riducendola sempre al sovrannaturale, segno di alterità di un personaggio e di un suo carattere speciale.

Da umano ad animale. La concezione arcaica secondo cui l’uomo discende dagli alberi è ribaltata dalla figura mitologica della ninfa greca, che spesso viene mutata in vegetale per sfuggire a un pericolo (ma di questo avremo modo di parlare più avanti). In un articolo di qualche tempo fa ci siamo invece posti la seguente questione: se la capacità di mutare da una o più forma fosse una capacità tipica degli dei, usata a piacimento per conseguire scopi personali, e si trattasse altresì di una condizione imposta/maledizione per l’uomo. Abbiamo visto come in due famosi miti greci, la trasformazione di una ragazza in animale fosse conseguenza di un castigo divino: nel mito di Aracne, Atena punisce in questo modo la superbia della giovane tessitrice, rivelando un evidente intento moralistico del racconto. La metamorfosi di Medusa si riassume più difficilmente, ma resta evidente come anche in questo caso la sua mutazione sia conseguenza dell’oltraggio a un luogo sacro della dea. A conferma della tesi secondo cui solo le divinità possiedono il dono della metamorfosi potremmo citare l’esempio della Morrigàn irlandese, che ha la capacità di cambiare forma (spesso in corvo) a suo piacimento.

Metamorfosi multipla. L’ambito irlandese, e per estensione celtico, ci riporta un tema particolare legato alla metamorfosi, ovvero la capacità di mutare più volte il proprio aspetto: nei più antichi racconti irlandesi non mancano personaggi che cambiano le loro sembianze da una vita all’altra, pur senza perdere le memoria delle precedenti esistenze. Se questo sembra un accorgimento letterario legato soprattutto alle cronache più o meno romanzate della storia dei popoli irlandesi, ciò non toglie che per gli studiosi tale racconti rappresentino un vero rompicapo. Per iniziare non è possibile confrontare queste vicende/credenze con dati tangibili poiché l’archeologia non è di alcuna utilità da questo punto di vista, ma soprattutto perché -a differenza dell’area greca e romana- la cultura celtica era essenzialmente orale, non esistono perciò fonti scritte se non molto tarde (vedi anche, successive alla cristianizzazione di quei territori). I soli testi antecedenti l’avvento del Cristianesimo sono di autori latini arrivati al seguito delle legioni di Roma che descrivevano, secondo il loro punto di vista e con il loro linguaggio, ciò che vedevano in quelle terre: un esempio calzante è rappresentato da Giulio Cesare che ci ha lasciato moltissime informazioni su usi e costumi dei Galli, ma filtrati (e senz’altro deformati) dalla lente romana… tutto il pantheon degli dei celtici ci è stato riportato con il nome degli dei romani e descrivendone le funzioni in base ai loro “doppi” mediterranei. Per questo motivo, appena si approccia la materia celtica, il primo grande ammonimento che viene fatto è che (vale lo stesso per Germani, Norreni, Slavi e tutte le culture antiche che non hanno adottato la scrittura nella vita quotidiana) i materiali mitologici vanno manipolati con grande cautela. A noi interessa nello specifico il dibattito sulla migrazione dell’anima. Secondo Giulio Cesare i druidi avevano la capacità di resuscitare continuamente in nuovi corpi e questo li rendeva straordinariamente longevi (e saggi, il che spiegava anche il rispetto di cui godevano tra il popolo). Quali prove abbiamo a sostegno di ciò? Da un punto di vista archeologico possiamo dire senz’altro che i Celti credevano a una vita oltre la morte, non si spiegherebbero altrimenti i corredi funerari ritrovati: i guerrieri venivano per esempio inumati con tutto il necessario per rivestire lo stesso ruolo anche nell’Aldilà (armi, carri da guerra, talvolta il cavallo e cibo). Il defunto veniva preparato per continuare a vivere altrove. Ma non ci sono evidenze scientifiche di una nuova vita nell’Aldiqua. O meglio, ci sono se ci affidiamo ai racconti vernacolari e accettiamo di entrare in un campo di studio in cui si traballa un po’. Ci sono alcuni esempi celebri di personaggi longevi che hanno trascorso la loro vita sotto diverse forme: nel racconto di Tuán figlio di Cairell, egli narra la sua vita a partire dall’arrivo in Irlanda dopo il diluvio (appartiene perciò alla prima popolazione giunta sull’isola) fino al suo incontro con san Finnén, avendo cambiato forma sotto ogni nuova dominazione e diventando cervo, cinghiale, falco e salmone. Nel racconto De chophur in dá muccida (La contesa dei due porcari) assistiamo a un altro fenomeno: i due del titolo si disputano il titolo di maggiormente dotato di magia e si trasformano successivamente per due anni in particolari specie di uccelli, poi di nuovo in umani, quindi per altri due anni in creature acquatiche, poi in cervi, guerrieri, spiriti e draghi volanti. Infine, “caddero entrambi dall’aria e divennero due vermi d’acqua” per essere sorbiti dalle giovenche che partorirono i tori -sempre i due porcari- che causarono la leggendaria guerra tra gli Ulaid e il resto dell’Irlanda, nonché la conformazione stessa dell’isola (facendone un racconto eziologico).

Metamorfosi come capacità acquisita. Ciò che possiamo affermare sulla migrazione dell’anima nel mito celtico è che si tratta di un destino riservato a pochi, a differenza di altri sistemi religiosi (come per esempio induismo o buddismo; una straordinaria eccezione riguardo il concetto irlandese/celtico più antico di trasmigrazione è inoltre che, quando un protagonista sperimenta la rinascita, essa non è preceduta dalla sua morte) è un’abilità riservata a speciali personalità di origine soprannaturale o dotati di una particolare conoscenza (druidica? I testi, redatti da autori cristiani parlano di suīthe ngentlechta ‘saggezza pagana’ anche se si è restii a pensare che tali compilatori potessero ritenere i non cristiani realmente saggi). L’ingerenza cristiana potrebbe anche aver contribuito all’aggettivo che sovente accompagna le trasformazioni dei personaggi definite “dolorosi vagabondaggi” che spesso sono percepite come inevitabili e inarrestabili… se nell’esempio riportato di Tuán, egli riferisce la volontà del Signore dietro le sue numerose trasformazioni al fine di poter un giorno narrare la vera storia dell’Irlanda (permettendo così anche di cristianizzare il tempo mitico in cui Gesù non era ancora venuto al mondo), non altrettanto possiamo dire de La contesa dei due porcari: proprio dall’epilogo della vicenda, con i corpi dei due tori che andranno a definire la geografia d’Irlanda, se ne intuisce l’importanza all’interno del sistema di credenze e come la metamorfosi fosse ritenuta una capacità eccezionale, sicuramente concessa a pochi e (quasi) sovrannaturali personalità.
Sarebbe suggestivo collegare le trasformazioni multiple dei personaggi irlandesi con gli animali guida degli sciamani delle steppe, che ne prendono la forma per compiere i loro viaggi tra le dimensioni… ma forse così ci spingeremmo davvero troppo lontano!