Se il cervo, che splendido nella stagione autunnale ne diventa -sotto la lente dei racconti umani- il padrone, lepri e conigli che fanno capolino dal terreno con il sopraggiungere della primavera, non potevano non diventare il simbolo di questo momento speciale dell’anno. La storia e l’arte sono zeppi di animali possenti e maestosi, mentre quelli più prudenti e timorosi sono poco narrati e presenti. Al pari della volpe, oggi raffigurata ovunque e in mille modi, anche lepri e conigli sono creature celebri dal passato non altrettanto prestigioso…

Rovesciamenti medievali. Nelle rappresentazioni medievali il coniglio e la lepre sono poco riconoscibili ed erano forse portatori di due significati leggermente diversi: mentre il primo era emblema della codardia per la sua abitudine a nascondersi in cunicoli e non essere scovato, la lepre era simbolo della viltà di chi fugge davanti al proprio nemico. Certo la velocità della lepre doveva comunque avere qualcosa di eccezionale, se ha dato il nome a una celebre razza di cane addestrato al suo inseguimento, il levriero. Il Medioevo però ci lascia anche un importante indizio: lepre e coniglio, quando venivano raffigurati, erano quasi sempre presenti in scene di mondi capovolti, dove si giocava con ironia sul rovesciamento dei valori… questo mondo che sfugge all’ordine ed è governato dal caos ha un antenato nel mondo classico.

Un caso isolato. La lepre, e il suo doppio domestico il coniglio, passano per essere in Grecia animali sacri tanto a Artemide, per la loro dimensione lunare, che a Afrodite, per le loro note capacità riproduttive (anche se non abbiamo prove evidenti di ciò): non è stata tramandata una leggenda legata alla lepre, o a ninfe che prendono queste sembianze, per esempio. Esiste però un personaggio, nato questo sì da una ninfa e con un destino prossimo agli dei, che viene avvolto neonato in una pelle di lepre: il dio Pan. Pan è il celebre uomo dalle sembianze caprine, con tanto di corna e zampe di capra, ma se si analizza la sua figura mitologica ci si accorge come si tratti di una figura molto più complessa di quanto si sia soliti immaginarlo. Egli è innanzitutto parte di quel gruppo di esseri leggendari che sfuggono al novero ordinato degli dei olimpici, accostandolo spesso a Dioniso e alle ninfe, creature liminari e tanto benevole quanto pericolose. Ecco la sua storia: figlio della ninfa Driope e del dio Hermes, sarebbe stato abbandonato dalla madre, sconvolta dalla bruttezza del neonato. Il messaggero degli dei, Hermes suo padre, lo raccolse e mise in una pelle di lepre per portarlo sull’Olimpo dove, come testimonia il nome Pan (“tutto”), venne da tutti apprezzato.

Ritorno al selvaggio. Non ci sono spiegazioni sull’utilizzo della pelle di lepre, possiamo al massimo farci l’idea che attraverso essa il bambino mezzo capretto assumesse un aspetto accettabile, per non dire grandioso (siamo pur sempre davanti a una platea di divinità). La preziosa pelle dell’animale, un vero e proprio lasciapassare per l’Olimpo, non ci rivelerà mai il suo vero significato, di cui abbiamo perso per sempre la memoria, ma su cui possiamo elucubrare come sull’egida ottenuta da Medusa sconfitta. Attraverso il flebile ma stretto legame della lepre con Pan possiamo però rituffarci nella dimensione selvatica delle ninfe, di Artemide, del mondo non civilizzato… in un certo senso, il mondo rovesciato delle raffigurazioni medievali. E forse, quasi a mettere insieme i pezzi di un puzzle in parte perduto, ritroveremo memorie arcaiche nascoste in qualche musino buffo, come quello di un coniglio, di un leprotto o di una Madamina!