Perché fare de “L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi” di Merlin Sheldrake un libro da bookclub?
Perché, come ho letto qua e là (non da ultimo, il retro della copertina), questo è un libro in grado di cambiare il nostro sguardo sul mondo.
Questo post si può ascoltare e vedere (assieme a un sacco di funghi che ho filmato nei mesi scorsi!) sul canale Youtube di Babacio.
Si parte dall’assunto che lo studio dei funghi, la micologia, è in realtà un disciplina piuttosto… schifata. Nel senso che i regni animale e vegetale godono del più alto rispetto e possibilità di studio e rami curriculari… mentre i funghi non se li fila nessuno. Ad oggi chi si specializza nello studio dei funghi è relegato nell’universo delle scienze botaniche.
Non è la materia a fare la disciplina e la perplessità accademica di fronte al mondo dei funghi è semplicemente il riflesso della perplessità della maggior parte delle persone nei confronti di queste creature.
Incompresi.
Forse questo libro non si propone gli obiettivi specifici che sto per elencarvi, ma questa è la restituzione che ho avuto io. Il primo grande scoglio logico è dato dal mistero dei funghi: ne sappiamo pochissimo e questo per due motivi. Il primo è che vivono in luoghi e con modalità di difficile accesso: la crescita delle ife (il corpo vero e proprio del fungo, paragonabile a filamenti che corrono nel sottosuolo) è difficilmente osservabile sul campo e non riproducibile in laboratorio; insomma, questi funghi sono restii a farsi studiare! Dateci un bel leone che corre nella savana, e via! Poi, per restare sul leone, anche se non siamo regali e scattanti come lui, è innegabile che siamo comunque più simili al felino africano che a un porcino. Ci viene estremamente più facile studiare un organismo che, in fondo, funziona come noi.
Cervello = intelligenza?
Una seconda grande questione affrontata nel libro è che l’essere umano, per poter studiare il mondo circostante, ha dovuto per forza catalogarlo. E queste categorie sono fatte a nostra immagine e somiglianza, tant’è che il modello ideale è l’uomo e, a degradare, tutte le altre specie viventi.
Uno degli elementi discriminanti, non lo dice Sheldrake ma lo dico io, è -se pensiamo a come studiamo l’evoluzione umana- data dall’intelligenza: noi siamo all’apice di una sequenza che dal più stupido arriva a noi, i più intelligenti. È un punto di vista molto ottocentesco, ma è ancora valido purtroppo per molte persone. E anche per qualche disciplina scientifica.
Ma, se tra le prove che testimoniano una forma d’intelligenza, poniamo quella definita problem solving, ci accorgiamo che i funghi sono molto più abili di noi. Se “cervello” non è per forza sinonimo d’intelligenza, forse è ora di accettare il fatto che le intelligenze possano essere molteplici. E che quella dei funghi, per esempio, sia semplicemente diversa dalla nostra. Dove “diverso” non significa “inferiore”.
Diversi.
I funghi non sono solo molto diversi da noi. Sono diversi da praticamente qualsiasi altra cosa al mondo. Ed ecco perché è così difficile studiarli. Sono diversi nella forma e anche nel comportamento e approcciarsi a loro obbliga ad abbandonare certe rigide categorie di pensiero. Il che, almeno per me, è un grandissimo plus. In cambio della rigidità, i funghi ci offrono la fluidità.
Quando si scoprirono i licheni, ad esempio, l’idea che due specie di vita diverse potessero fondersi in un nuovo organismo con un’identità diversa risultò sconvolgente; si creò la parola “simbiosi” per descrivere la vita in comune tra alga e fungo e l’evoluzione cominciò a essere percepita non solo in termini di competizione e conflitti, ma anche di collaborazione. Oggi sappiamo che esistono licheni formati da un’alga più un fungo, più un fungo (più un fungo): le relazioni dei licheni sono aperte e flessibili, l’importante è che i partner possiedano abilità che gli altri non hanno: questo rende l’organismo ultimo qualcosa di completamente diverso dalla somma delle parti.
La fluidità dei licheni, applicata alle relazioni umane, ci renderebbe più ricchi nei nostri rapporti con gli altri.
Ridefinire sé e ridefinire le relazioni.
Relazione micorrizica: una pianta e un fungo collaborano, ma restano due organismi separati e distinti. É una relazione, non si tratta di una simbiosi come per i licheni, eppure è un rapporto ben più promiscuo, perché una sola pianta può associarsi a molti funghi e, viceversa, un solo fungo può associarsi a innumerevoli piante. Non formano una coppia, ma nel punto in cui pianta e fungo si fondono per collaborare, si sviluppa una straordinaria intimità perché diventano una parte dell’altro.
“Ci sono molti modi di essere una pianta e molti modi di essere un fungo. E ci sono molti modi per formare una relazione micorrizica” -scrive Sheldrake- e in nessun caso la pianta o il fungo hanno il controllo totale della relazione e degli scambi, nessuno dei due è in grado di sabotare l’altro a proprio vantaggio.
Gli attori in gioco formano relazioni con chi hanno intorno e le rimodulano continuamente, creandone anche di nuove: questo consente di reagire alle situazioni mutevoli della vita.
Trasformare è vivere.
I funghi vivono da tantissimo tempo sul pianeta trasformandolo attraverso le loro relazioni con gli altri organismi. É quello che facciamo anche noi umani, ma pare che ad un certo punto della storia ci siamo incartati da qualche parte: le nostre collaborazioni risultano ora sterili o addirittura nocive, mentre i funghi si nutrono, alterano e rilasciano basi fertili per il futuro. Anche se lo scopo è lo stesso per tutte le specie fungine (cioè, mangiare per sopravvivere) la complessità degli ecosistemi terrestri fa sì che non ci sia una soluzione valida per tutti: l’adattamento di specie diverse ad ambienti diversi sarebbe una bellissima metafora della cultura umana, dove siamo d’accordo che l’obiettivo comune è stare bene su questo pianeta e dove le varie discipline sono solo strategie per vivercelo secondo le nostre varie sensibilità.
“L’ingrediente grezzo della fede”.
È un’espressione che mi fa volare, usata dall’autore nel capitolo 4, dedicato ai controversi funghi magici. Certi funghi sono in grado di alterare il comportamento: alcuni (i cosiddetti funghi-zombie) diventano parassiti dell’ospite -di solito un’insetto- e riescono ad alterarne la vita; ci sono poi i funghi chiamati magici, quelli le cui sostanze chimiche possono alterare la percezione. Non diventano parte di noi, ma producono effetti sulla coscienza e questo apre una fantastica parentesi -l’ennesima- sul concetto di confine: se nel groviglio miceliare non è fisicamente chiaro dove finisca un fungo e ne inizi un altro, a livello intangibile ogni nostra azione sconfina negli altri. Io posso essere un individuo con dei confini ben definiti, ma le mie parole, le mie azioni e i miei pensieri possono avere effetti su un’altra persona e scatenare in essa una reazione (il riso, il pianto o portarla a compiere un gesto che non avrebbe altrimenti fatto). I funghi hanno portato Sheldrake a scrivere questo libro, noi lo abbiamo letto e oggi io vi porto a ragionare su questo. Non servono funghi magici per accorgersi di questa magia, bastano i funghi così come sono.
Per approfondire.
Un’altra lettura fungina che ho amato “Il fungo alla fine del mondo” di Anna Lowenhaupt Tsing.
“Dio vive sotto la superficie del terreno” un post che ho intitolato a partire dalle parole di Sheldrake.
La mitologia che segue lo studio dei funghi, Persefone, dea della vita sottoterra.
“Putrefazione e rinascita” non è il mio disco punk, ma una considerazione che chiude il discorso sulla fermentazione (affrontata dal punto di vista leggendario di Dioniso e Demetra).
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