Le prime manipolazioni di un colore da parte dell’uomo sono avvenute in rosso. La triade cromatica per eccellenza è formata da rosso, nero e bianco ma questi ultimi non sono sempre considerati dei colori puri, a volte prevale per loro esclusivamente la connotazione di condizione di luce o di assenza di essa. Michel Pastoureau definisce il rosso “colore archetipico”, ossia quello più noto e familiare all’uomo; primario su tutti gli altri, in diverse lingue i termini per “rosso” e “colore” sono ad esempio sinonimi e su di esso si è costruita l’impalcatura cromatica della cultura europea.
Rosso sacro. In ambito mediterraneo il rosso ha sempre accompagnato Homo sapiens nel vestiario, nella pittura corporea, negli accessori personali e nel mobilio per scacciare la malasorte e proteggere se stessi.
Frequentemente lo si trova associato al potere e alla sacralità, al sovrannaturale. I letti di ocra che sono stati ritrovati in alcune sepolture fanno pensare a questo materiale/colore come dotato di proprietà magiche e protettive ed è probabile che gli antichi si dipingessero anche con essa (d’altronde il rosso continua a farla da padrone nel trucco ancora ai giorni nostri).
Una tavolozza laboriosa. I primi segni lasciati dall’uomo preistorico sono tutti in rosso, cosa che potrebbe dirci molto sulla sua importanza simbolica giacché non era il più semplice da recuperare (il più comune era il nero del carbone presente in tutti gli insediamenti). Nell’era magdaleniana la palette degli artisti si amplia, ma il rosso resta incontrastato.
Ottenere il rosso non era facile: si estraeva l’ematite in placche dal terreno, poi andava lavata, filtrata, frantumata e la polvere ottenuta si mescolava a grasso animale, oli vegetali o feldspato per ottenere diverse gradazioni di colore e per un’ottima aderenza alla roccia. Oltre al valore in generale del rosso per l’uomo preistorico, ci si potrebbe interrogare anche sulla valenza di tutte le tonalità da lui impiegate.
Rosso sangue e rosso fuoco. Ci sono due connessioni quasi universali con il colore rosso: il sangue e il fuoco. Entrambi strettamente collegati all’idea della vita e della morte, sono elementi che permettono l’esistenza, ma rappresentano anche un pericolo e sono segno di catastrofe. Per questo forse, si presentano anche come veicoli di comunicazione tra la sfera umana e quella divina: agli dei erano offerti sacrifici di sangue poiché esso apparteneva a loro e ne costituiva il nutrimento. Il carattere salvifico e fecondante (da esso comincia la vita) o pericoloso e mortale (nel caso in cui fuoriesca dal corpo) era peraltro già chiaro agli artisti paleolitici che tracciavano ferite rosse d’ocra sulle pitture animali in grotta: oggi si tende a escludere l’ipotesi che si trattasse di segni che accompagnavano rituali di caccia e si ritiene più probabile che con quelle ferite si volesse rappresentare la vitalità presente negli esseri viventi. Mentre, per quel che riguarda il fuoco, anche se quasi mai la fiamma è davvero rossa, non si può non negare come in moltissime culture esso venga considerato un essere vivo e come abbia la sua idea abbia prodotto figure mitologiche dal carattere ambivalente connesse a questo colore, pronte ad aiutare l’umanità, ma al contempo dal temperamento capriccioso e imprevedibile.
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