Ogni mese portava in sé un avvenimento astrale che permetteva all’umanità di contare (addomesticare) il tempo e a giugno possiamo osservare il solstizio d’estate. Analogamente al suo doppio invernale anche questa ricorrenza presenta due (tra le varie) peculiarità: è una cosiddetta porta dell’anno e -o forse proprio per questo- la Chiesa cattolica vi ha posto in prossimità un giorno di precetto*.
Cominciamo a capire cosa s’intende per porta dell’anno. Da che l’essere umano ha iniziato a tenere conto del trascorrere del tempo (quando? E chi lo sa. Probabilmente da quando abbiamo iniziato a essere umani), i due principali marcatori sono stati la luna e il sole. La luna era uno strumento più maneggevole: anche se il suo modo è molto più bizzarro -lunatico?- di quello solare, si compie spesso e in breve tempo; facile immaginare che fosse il più pratico per la misurazione spiccia del tempo (anche i suoi effetti sono più immediati, dalle maree quotidiane al ciclo mestruale settimanale). Ma i grandi cambiamenti legati alla sopravvivenza, estate e inverno, erano dettati dal movimento in cielo del sole e registrabili in quattro momenti fondamentali: due equinozi che rendono uguali le ore di luce e di buio e due solstizi, i giorni più lunghi e luminosi e più corti e bui. A differenza di quanto potremmo pensare, forse guidati da una logica cristiana che tende ad associare la luce con il divino e il buio con il demoniaco, per le culture antiche era molto più preoccupante il giorno del solstizio estivo, rispetto quello invernale, poiché esso segnava l’avvio verso la stagione fredda, decadente, difficile. Questo spiega anche il perché, nel giorno più buio dell’anno/solstizio invernale, le ricorrenze siano particolarmente fastose (v. Natale e le varie celebrazioni che trovano collocazione in quel dato periodo, volte tutte a salutare la ri-nascita solare con l’annuncio verso tempi migliori). Qui è forse da ricercarsi l’anomalia del calendario romano che assegna i primi sei mesi a divinità, mentre i restanti (a esclusione di luglio e agosto) sono più che altro un computo verso il nuovo anno: dopo il mese di giugno -e dopo la parentesi tarda degli imperatori divini- la preoccupazione era arrivare all’inverno? O non serviva invocare o ringraziare particolari divinità, come doveva essere nella prima metà dell’anno?
A questa domanda possono forse venirci in soccorso gli antichi Greci, essendo loro ad aver chiamato i due solstizi porte e, di più, quello invernale risultante essere per loro la “porta degli dei o degli immortali” mentre quello estivo passava per essere la “porta degli uomini”. Nell’Odissea si racconta di una grotta di Itaca nella quale le due porte si sarebbero aperte: la “porta degli dei o degli immortali” era rivolta a sud (a Noto, come il sole che al solstizio invernale si trova a sud dell’equatore) e la “porta degli uomini” era rivolta a Borea, ovvero a nord, all’opposto del precedente. Si tratterebbe perciò di considerare la prima parte dell’anno rivolta al sovrannaturale, mentre la seconda sarebbe dedicata al mondo circostante e tutti i riti e le usanze legate alle notti del solstizio d’estate (il perché plurale si comprende qualche riga più sotto) avrebbero come fine ultimo la protezione delle messi e della propria persona, cose decisamente mondane.
Appurata l’importanza dei solstizi nell’antichità, soprattutto come marcatori dei due grandi cicli temporali “inverno-estate” e “estate-inverno”, si capisce perché questi momenti venissero considerati porte su un nuovo periodo calendariale e come questi andassero custoditi e protetti da influssi negativi. Le religioni precristiane avevano un botto di divinità preposte a questo, la Chiesa cattolica, nel momento in cui decise di far coincidere la figura di Gesù Cristo con la divinità solare pagana, prestò per così dire il fianco a un processo analogo per i solstizi. E infatti i guardiani cristiani delle porte dell’anno sono San Giovanni Apostolo il 27 Dicembre e San Giovanni Battista il 24 Giugno (sulla non perfetta coincidenza delle date con i solstizi, si veda il post Perché il Natale si celebra in prossimità del solstizio invernale?). Johannes stava, per la tradizione popolare, a indicare il rapporto tra il santo e il dio romano Giano (Ianus) che, aprendo l’anno, dava il nome a gennaio: questi termini erano poi visti in relazione con la porta (ianua) e i due San Giovanni acquisivano perciò il ruolo di ianitores (ossia custodi, guardiani) delle porte solstiziali.
* Si tratta di giorni in cui vi è l’obbligo di partecipare alla Messa; il 24 giugno, giorno della Natività di San Giovanni Battista (o, in breve, San Giovanni) non è più un giorno di precetto dal 1642.
Per approfondire.
Per scoprire come si festeggia oggi a Torino.
Per conoscere alcune usanze legate al solstizio d’inverno.
Per leggere una storia sui solstizi, con protagonisti lo scricciolo e il pettirosso.
E una leggenda analoga, con la quercia e l’agrifoglio.
A proposito di leggende, eccone una originaria della Val Pellice.
Qui invece per capire l’importanza del fuoco nelle feste antiche.
1 Pingback