Le Alpi sono state fin dalla più remota antichità un luogo di transito, contatto e scambi: lungo le vie di passaggio sorgevano villaggi e aree sacre… Attraversare la catena alpina nella Preistoria significava seguire rotte tra vallate e valichi, alcuni -poco più che sentieri- percorribili solo con la bella stagione, altri divenuti celebri e sfruttati ancora oggi. La traversata di Annibale è forse la più famosa della storia ma, nonostante la notorietà, l’unico elemento eccezionale della sua impresa furono gli elefanti: infatti, ben prima del condottiero cartaginese, uomini e donne conoscevano bene e percorrevano spesso le rotte per passare da un versante all’altro delle Alpi. Le più importanti? Nel territorio occidentale dei Cozii, si trovava il Mons Matrona (Monginevro), mentre il Piccolo San Bernardo, l’Alpis Graia, attraversava le terre dei Ceutrones ed era più agevole e quasi interamente percorribile con i carri; si poteva poi affrontare l’Alpis Poenina, il Gran San Bernardo, stretto e ripido, ma più breve.

Visuale lasciandosi alle spalle la Francia: quello innevato è il Monte Bianco.

La Via delle Gallie. Furono i Romani a sfruttare le piste più antiche per realizzare una strada degna di questo nome che, proveniente da Eporedia (Ivrea), attraversava la Valle d ‘Aosta seguendo il corso della Dora (con l’accortezza di tenersi sulla sinistra orografica, dove la neve si scioglie più in fretta, e procedendo -per quanto possibile- nella traiettoria rettilinea tipica delle vie romane); si biforcava poi ad Augusta Praetoria (Aosta), consentendo l’efficienza del collegamento con le provincie di Gallia e Germania, imprescindibile per l’espansione dell’impero. Ad Aosta la Via delle Gallie conduceva da una parte, tramite la Porta Decumana, al valico dell’Alpis Graia e dall’altra, attraverso la Porta Principalis Sinistra, a quello dell’Alpis Poenina. Sotto Augusto si procedette alla costruzione di vere e proprie strade, con tanto di stazioni di sosta per uomini e animali, ma fu solo con Claudio che l’Alpis Poenina divenne percorribile ai carri. Sostruzioni, tagli nella roccia, archi e ponti sono disseminati e ancora visibili su tutto il tragitto e diverse località della valle portano il nome che ricorda la loro posizione sulla via: Diemoz (ad decimum), Nus (ad nonum), Chétoz (ad sextum) e Quart (ad quartumlapidem) ricordano la loro distanza in miglia da Aosta.

Parte del cromlech. Sopra di esso la strada del 2012 che porta in Francia, mentre in basso è ancora visibile l’antico tracciato che tagliava in due il cerchio di pietre; nell’angolo alto a destra gli sbarramenti anticarro della Seconda guerra mondiale e, in basso nella foto, l’antica via detta “romana”.

Gli abitanti dell’Alpis Graia. Il trasporto via terra rappresentava una spesa maggiore rispetto quello fluviale ma i percorsi più brevi, e i conseguenti tempi più rapidi e remunerativi, rendevano il Piccolo San Bernardo la via privilegiata per collegare Augusta Praetoria e la Gallia. Qui, sui due versanti della montagna, viveva il popolo dei Ceutrones, affrontati nel 58 a.C. da Giulio Cesare, i quali acquisirono in seguito il diritto latino: sotto l’imperatore Claudio, la loro antica capitale Axima, prese il nome Forum Claudii Ceutronum. Sull’altopiano del Piccolo San Bernardo troviamo disseminata la storia umana sotto forma di opere diverse e abbandonate al tempo: i blocchi anti-carro e i bunker della Seconda guerra mondiale, le dogane e i posti di controllo della frontiera italo-francese, le fortificazioni sarde del 1630, un ospizio medievale, mansiones (stazioni di sosta) romane e, infine, un cromlech preistorico. Cos’è un cromlech? Il termine, preso a prestito dal bretone, indica un allineamento circolare di pietre e in Italia questo tipo di monumenti megalitici si conta sulle dita di una mano. Oggi un po’ dappertutto leggerete che quello del Piccolo San Bernardo è “posto esattamente sullo spartiacque italo-francese” ma in realtà è proprio l’opposto: qualcuno ai primordi ritenne che questo posto fosse tanto sacro da meritare un grandioso luogo di culto, la frontiera venne fissata lì successivamente. E forse proprio per la sua presenza, ma la Storia non gli è stata altrettanto clemente.
Oggi il cromlech è composto da 49/57 -a seconda del criterio di scelta- massi di dimensioni modeste, mediamente disposti a 4-6m l’un l’altro, che vanno a formare un cerchio di circa 73m di diametro; dei 57 blocchi, 37 risultano in posizione eretta e 19 rovesciati o sprofondati. Le pietre si innalzano dal suolo per meno di 50cm, eccetto 5 di esse che arrivano agli 80cm. Non hanno forma omogenea, né testimoniano un intervento umano e si ritiene che la loro provenienza sia da ricercarsi entro il raggio di 500km. Purtroppo il monumento, e la circostante area archeologica, sono stati ripetutamente danneggiati nel tempo: due tracciati di strade tagliano il cerchio (una via antica dismessa detta “romana” e quella del 1857 che venne fatta passare proprio in mezzo al cerchio) e, nei primi del Novecento, ben 20 delle -presunte- pietre originali vennero spostate e poi sostituite per allargare la via (e 5 di esse furono completamente rimosse). Come se non bastasse, alla fine del secondo conflitto mondiale si livellò il suolo sconvolto dalle azioni di guerra… i massi vennero poi riordinati, ma in maniera del tutto arbitraria.

Le pietre viste lasciandosi alle spalle l’Italia

Cerchio (un tempo) sacro. Nel cuore del Piccolo San Bernardo, questo grande anello di pietre innalzate al cielo, è posto sullo spartiacque alpino a 2188m di altitudine, in una zona oggi prevalentemente piana, nel punto più alto del colle e fronte all’imponente Monte Bianco… Menzionato a partire dal XIX secolo come il luogo in cui Annibale e i suoi usavano tenere consiglio, venne accostato nell’Ottocento ai cromlechs bretoni e considerato di origine celtica, per ipotizzare infine un suo legame con la prima Età del Ferro italiana… Nei pressi gli archeologi hanno individuato i resti di un fanum, ossia un piccolo tempio gallo-romano, probabilmente dedicato a una divinità del luogo (l’Hercules Graius, raffigurato su una lamina votiva in argento, o lo Iuppiter Dolichenus rappresentato su un busto argenteo, entrambi provenienti dalla vicina mansio?).
Non vi sono prove dell’origine né della funzione del cromlech, ma la sua costruzione deve aver avuto un significato profondo per gli antichi abitanti della montagna (di cui, nuovamente, non sappiamo nulla… nonostante siano state portate avanti negli anni alcune ricerche sul campo, sono stati rinvenuti solo due strumenti del Neolitico in prossimità del sito: troppo poco per qualsiasi ipotesi). Molto probabilmente le genti locali che ci sono note dalle fonti letterarie latine, i già citati Ceutroni sull’attuale versante francese e i Salassi su quello italiano, avvertivano ancora la sacralità del luogo se -in quanto popoli che presidiavano e controllavano il passo- avevano fatto in modo che la strada romana procedesse in modo tangente al cromlech, anziché tagliarlo nel suo perimetro, e le strutture, di cui conserviamo solo le fondamenta, erano state edificate ai suoi lati. Un’attenzione che i moderni non hanno avuto e una suggestione che, a quanto pare, i turisti che passeggiano tra le pietre allo scopo di valicare a piedi la frontiera, non avvertono quasi. Che peccato.