Dopo aver parlato della ‘anomala’ strega Alice volevo raccontare una storia che presentasse la classica donna accusata di stregoneria perché marginalizzata, povera, sfortunata, etc etc. Avrei pensato alla storia di Catharina perché mi sembra l’esatto opposto di Alice sotto molti punti di vista: Alice fu la prima donna a essere processata per stregoneria; Catharina fu una delle ultime. Alice seppe difendersi perché era ricca e ben inserita nel territorio; la povera Catharina era un caso umano fin da tempi non sospetti”, così scrive nella mail per il terzo appuntamento delle Masche Lucia di Una penna spuntata.
Ci troviamo nella Germania meridionale, nel villaggio di Alleshausen, quando viene processata per stregoneria la settantaquattrenne Catharina Schmid: è il 1745 e siamo nella patria di Kant, in pieno illuminismo… nonostante ciò, la donna subisce ancora un processo tipicamente medievale e l’anno successivo viene bruciata sul rogo, assieme alla figlia, in una delle ultime condanne a morte per stregoneria.

La protagonista. Le accuse vennero mosse da un uomo presso cui Catharina aveva lavorato come cameriera molti anni prima, ma in sede di interrogatorio la lista di accuse e persone che ritenevano essere state vittima, e quindi danneggiate in vario modo, dalla presunta strega si allungò incredibilmente.
Catharina non aveva avuto una vita facile: vedova poche settimane dopo il matrimonio, si risposò con un uomo che si scoprì avere già un’altra famiglia e per questo la abbandonò, rimase orgogliosamente nel piccolo villaggio, ma con vari figli -alcuni di fatto illegittimi- e senza nessun aiuto (la figlia venne peraltro colpita da una malattia della pelle che la sfigurò, facendole perdere parte del naso e rendendola un mostro agli occhi degli altri… quasi una prova della natura malevola della madre). Catharina, un po’ per indole e un po’ per necessità, rivelò un temperamento deciso e schietto… elementi che purtroppo non le permisero di difendersi e, anzi, le si rivoltarono contro in sede processuale: fu sottoposta, come scrive Lucia, a torture violentissime (nell’epoca in cui l’Illuminismo vi si scagliava già contro!) e, dopo otto lunghi mesi di prigionia, alla fine cedette; confessò di essere stata sedotta dal diavolo, di aver partecipato ai sabba, di aver distrutto raccolti e ucciso uomini e animali, etc etc: tutto il repertorio.

La storia dettagliata della sua vicenda, con l’epilogo tragico della doppia condanna di Catharina e della figlia, potete leggerla su Una penna spuntata a questo link: Catharina, una donna sfortunata.

Paralleli locali. Non ho particolari riflessioni di tipo antropologico sulla vicenda, ma -come ho confessato a Lucia, quando mi ha proposto questa storia- quello che mi ha molto colpita è stata la somiglianza con qualcosa che mi è stato raccontato anni fa. Nel 2013 ho infatti intervistato alcune persone della mia zona d’origine, la Val Pellice, per il lavoro di tesi di laurea (sul folclore delle Valli Valdesi): mi era capitato di ascoltare, prima dalla voce di una nipote e poi dal figlio di quest’ultima, quanto vi riporto.
“Conoscendo io la zona di Rorà, le chiedo informazioni sulle voci di masche alla frazione delle Fucine: lei mi dice di conoscere la voce, ma che si tratta di dicerie. Però poi racconta che una sua zia, che abitava poco sopra Pontevecchio, era stata accusata di essere una masca. Da allora era sempre stata evitata e aveva confidato alla nipote di soffrire molto perché nessuno le parlava più o voleva avere a che fare con lei. A. non ricorda altro della vicenda, ma dice che un tempo, specialmente se si era da soli, non si andava in giro tranquilli di notte, né fuori dai sentieri conosciuti di montagna. […] La zia, una sorella della mamma, detta zia Margheritin, era morta all’età di 85 anni e originaria della località di Mourchous. A. R. mi dice di non aver mai saputo il motivo delle accuse, ma suppone che le tristi vicende coniugali della prozia possano esserne una delle cause. La donna si era infatti sposata con un uomo, da cui aveva avuto anche dei figli, che era poi morto al fronte durante la prima guerra mondiale. La vedova si era quindi risposata e aveva avuto dei figli da un altro uomo che venne tragicamente ucciso durante la seconda guerra mondiale. Non si conobbero mai in maniera chiara le ragioni delle accuse di essere una masca, sta di fatto che la triste vedova, sola a dover mantenere una numerosa famiglia, aveva certamente ricevuto delle minacce di morte. Forse per la drammaticità di questi fatti, A. R. si è stupito per il fatto che sua madre me ne avesse parlato.”*

La bambola. Sospendo ogni giudizio sulle similitudini delle due vicende e mi occupo di cose che sono più di mia competenza come… dirvi com’è stata realizzata la bambola! Se l’intento per questa Masca era di invertire il senso di marcia rispetto la collega precedente, la nobildonna medievale Alice Kyteler, ho deciso di applicarlo anche al design e al set fotografico per la copertina dell’articolo. L’ambientazione che ritrae la bambola di Catharina è scarno e cupo, così come il suo abbigliamento: per ricrearlo ho scelto una delle illustrazioni che Lucia ha estrapolato dai suoi manuali e che ritraeva una scena agghiacciante, anche se non sappiamo quanto reale, di streghe che venivano gettate in una sorta di forno crematorio… alcune portate di peso, altre sulle loro gambe, ma tutte accomunate dall’abito pesante e il singolare berretto in testa. Ho aggiunto delle toppe alla veste per richiamare lo stato d’indigenza in cui era costretta a vivere Catharina e abbiamo completato il tutto con il solito monile che, questa volta, rappresenta un ciondolo di calcare grezzo: un materiale molto economico che, secondo i lapidari medievali, fungeva da talismano contro le ulcerazioni e le malattie della pelle (ricordate la povera figlia?).

* I luoghi citati si trovano nel comune di Rorà, provincia di Torino, e sono tutti abbastanza vicini tra loro.