Nelle tradizioni contadine dell’Europa, così come in altre numerose società, sono presenti credenze che tendono ad assimilare la terra coltivata alla donna. In un inno religioso del XII secolo Maria Vergine è glorificata come “terra non arabilis que fructum parturiit”.
Il suo legame con l’agricoltura, che quasi certamente fu una scoperta femminile, segna la solidarietà della donna con i centri di fecondità cosmici (Terra, Luna): godeva infatti del prestigio di influire anch’essa sulla fertilità e sul potere di distribuirla.

Tracce nel suolo, tracce nel tempo. La donna è identificata con il solco e la vanga con il fallo maschile così come il lavoro agricolo lo è con l’atto generatore (simmetrie tra l’alto possibili solo in una società che conosce tanto l’agricoltura quanto la natura del concepimento). Nel sito megalitico di Saint-Martin de Corléan ad Aosta sono state rinvenute tracce di aratura simbolica di epoca neolitica come rito sacro che evocava la fertilità e, attraverso l’attività agricola, permetteva all’essere umano di relazionarsi con la divinità. Alcune rocce incise in Val Camonica (Lombardia), e altre sul Monte Bego (Alpi Marittime), raffigurano la medesima attività ed è evidente l’importanza di rappresentarne gli oggetti sacri, l’aratro e i buoi. La relazione tra donna-erotismo e aratura-fertilità è rispecchiata anche nell’usanza, in alcune zone d’Europa, di far fare la prima aratura a delle giovinette nude.

Le divinità agrarie si sostituiscono alle arcaiche divinità telluriche. La Terra Madre era letteralmente ‘padrona del luogo’ con la capacità di diventare Tutto (in contrapposizione allo sposo uranico che è Cielo, è Altro), era fonte di tutte le forme viventi e custode dei morti che in essa venivano seppelliti perché potessero rinascere dopo essersi riposati nel suo grembo. Passare dalla Terra Madre alla Grande Dea agricola significa anche transitare dalla semplicità al dramma dell’esistenza (della vita, nascita e morte). Prima di qualsiasi interpretazione mitica della figura della terra, si ebbe la Presenza stessa del suolo: una concezione del tutto (inteso come ‘luogo tutto intero’, Natura = Terra). La struttura tellurica della divinità s’imposterà definitivamente solo con l’agricoltura: dalla Tellus Mater, dea madre unica, alla divinità della vegetazione e dei raccolti (epoca dei culti agricoli e della greca Gea) per finire con la sua antropomorfizzazione e settorializzazione (Demetra dea delle messi che sostituisce Gea).

Il lavoro agricolo è un rito: è compiuto sul corpo della Terra Madre, coinvolge le forze sacre della vegetazione e integra l’agricoltore nei cicli del tempo. L’agricoltura rivela in modo drammatico il mistero della rigenerazione vegetale e non è una semplice tecnica profana ma, essendo in relazione con la Vita, è innanzitutto rituale; l’essere umano ormai manipola e interviene nel processo produttivo, quindi l’agricoltore “penetra e si integra in una zona ricca di sacro”: zone sacre spaziali (zolle, semi, fiori) e zone sacre temporali (il ciclo stagionale). La solidarietà delle società agrarie con i cicli temporali chiusi spiega tutte le cerimonie legate all’espulsione dell’Anno vecchio e l’arrivo di quello nuovo, ma anche una sorta di concezione ottimistica dell’esistenza in cui la morte si dimostra solo un mutamento provvisorio dell’essere al pari dell’inverno, che non è mai definitivo, e di tutte le cose che riposano in attesa di una nuova primavera.