I bambini giocavano spensierati nel cortile della scuola di Winnenden, mentre l’autunno del 1662 scivolava lentamente verso l’inverno. I giovani scolari di quell’istituto di paese, che sorgeva nelle campagne attorno a Stoccarda, si godevano le pause tra una lezione e l’altra nell’unico modo che conoscono i bambini: con quella serenità quieta e quell’allegria fantasiosa che graziano gli anni beati dell’infanzia. C’era solo un dettaglio ad appesantire quei giochi da cortile, rimbombando cupo nelle testoline dei bambini come una nota stridula e stonata: e cioè, l’insistenza con cui il piccolo Hanβ diceva ai suoi amici di avere una frequentazione abituale con Satana.”

Sembrerebbe il perfetto incipit di un romanzo horror, invece si tratta dell’ultimo appuntamento con le Masche (le bambole ispirate a personaggi storici accusati di stregoneria) di cui Lucia di Una penna spuntata ed io ne abbiamo raccontato -e reso tangibili- il volto e la storia.
Potete leggerlo qui: Hanß, il piccoletto che andava al sabba.
E poi sì, dopo dieci lunghi mesi in compagnia, è giunto il momento di prendere una pausa dalle Masche. Ma Lucia ed io abbiamo deciso di farlo nel momento più stregato dell’anno e in un modo che alle nostre streghette e stregoni non sarebbe dispiaciuto: con un magico libro e con uno spirito guida ad accompagnarvi… Da martedì 25 ottobre sarà infatti possibile acquistare il libro dedicato alle Masche (più molte altre storie inedite!), sia singolarmente, che allegato a una delle bambole che avete imparato a conoscere in questi mesi. Restate nei paraggi per tutti i dettagli!
Intanto proseguo con le solite note biografiche e stilistiche sul personaggio del mese e la sua realizzazione.

Folclore, ambiente sociale e storia personale. All’inizio del 1663, il piccolo Hanβ Ferner di otto anni viene quindi convocato dai magistrati della sua città per indagare meglio la situazione… Il bambino parla di incontri notturni, danze e lauti banchetti alla presenza del diavolo. Ma da dove arrivano questi racconti? Come spiega bene Lucia nel suo articolo, la cosiddetta Caccia alle streghe non era più un fenomeno nuovo e le storie di accusati e condannati, assieme alle loro deposizioni, facevano probabilmente ormai parte della cronaca locale. In più, se come abbiamo avuto modo di osservare in questo post sui Valdesi-stregoni, spesso c’era da parte del clero l’intenzione di far confluire nei comportamenti sospetti tutte le pratiche tradizionali derivate dalle credenze popolari (si vedano, ad esempio, i personaggi folclorici) non stupisce poi più di tanto che un bambino potesse immaginarsi un diavolo cornuto e con sembianze di caprone (ricordiamoci che siamo in Germania, patria di maschere animali quali il Krampus, la cui natura demoniaca è più che assodata). Inoltre , e questo è l’elemento che più ho apprezzato delle storie propostemi da Lucia, c’è sempre un contributo più intimo della persona esaminata: insomma, ognuna delle nostre Masche sarà anche stata influenzata dall’ambiente e dall’epoca, ma in ogni vicenda affrontata insieme, anche la vita della strega o dello stregone stessi è entrata -più o meno pesantemente- in gioco.

Un pensiero sull’infanzia. Nel suo articolo Lucia fa poi un affondo, e non poteva essere altrimenti!, sulla particolarità principe del nostro piccolo stregone: il fatto, cioè, di essere un bambino. L’immaginario collettivo rimanda la figura della strega-tipo come una vecchia arcigna e odiata da tutti, oppure di una giovane e ammaliante seduttrice. Difficilmente si sente parlare di stregoni, ancor meno di bambini e bambine votati alle arti oscure. E questo già dovrebbe farci riflettere sull’occhio moderno che rilegge gli accadimenti passati con lenti contemporanee, ma ancor più pone l’accento su come, nel corso dei secoli, sia cambiata la percezione che la società aveva dei propri infanti (percezione che, come possiamo vedere, è cambiata più e più volte nel tempo). Se, come presumo, ognuno di noi avrà udito le storie di qualche parente in là con gli anni sul lavoro che un tempo i bambini dovevano affrontare per aiutare la famiglia, a discapito dello studio e -soprattutto!- del gioco, è anche vero che forse in molti, me compresa, siamo rimasti perplessi da quanto scritto da Lucia: “Dopo aver efficacemente moralizzato la società adulta, la severa Europa della post-Riforma aveva cominciato a guardare ai più piccoli, facendo implicitamente passare un messaggio: altro che angioletti innocenti!”. Siamo abituati, almeno io che vengo da studi antropologici, a considerare l’infanzia come un periodo ammantato di magia per la concezione arcaica della vicinanza dei bambini alla sfera della non-vita, cosa evidentissima nei periodi critici dell’anno come l’Halloween che si avvicina a grandi passi: lungi dall’essere un legame macabro, i bambini sono vicini ai morti semplicemente per essersi “staccati” da poco dal mondo infero dove si sta prima di nascere e dove si ritorna una volta defunti. Questa concezione è tipica delle culture che considerano il tempo un’esperienza ciclica ed è, evidentemente, all’opposto dell’idea cristiana del mondo (a partire, se ci pensate, del computo stesso del tempo: un’immaginaria linea temporale che parte dalla nascita di Cristo e che si proietta in avanti, anziché un serpente che si morde la coda e che ripropone ogni anno le stesse zone di luce e di ombra). Chissà se anche questa percezione dell’infanzia, passata da condizione privilegiata a momento di pericolo per la società, non sia una delle tante variabili che il passaggio al cristianesimo ha ribaltato nel tentativo di estirpare il paganesimo dall’Europa?

L’ultimo amuleto. Infine, non potevo non lasciare una nota sulla realizzazione della bambola di Hanβ: abbiamo scelto di vestirlo in maniera molto semplice per riflettere la sua condizione sociale non particolarmente elevata, in un periodo in cui forse non ci si curava troppo dell’aspetto fisico dei bambini. I piccoli venivano probabilmente vestiti con quel che si trovava, che veniva passato da un figlio all’altro e usato il più possibile; eventuali accessori servivano solo per la loro utilità e abbiamo pensato di lasciare a capo scoperto il nostro Hans anche per dargli un’aria di libertà, come un piccolo monello che scorrazza per le vie della città. Ma non poteva non avere l’immancabile amuleto che studiamo per ogni nostra Masca e questa volta Lucia mi ha illuminata su un particolare tipo di pendente detto scapolare: si compone di due pezzi di tessuto su cui è ricamata una croce, il primo posto in corrispondenza del cuore e l’altro posto -appunto- tra le scapole, per far sì che la protezione divina si concentri sui punti vitali. Il mondo cattolico lo conosce ancora molto bene, ma è plausibile che nel Seicento lo scapolare fosse diffuso anche tra i protestanti; solitamente si porta sotto gli abiti, ma ne esiste anche una versione monastica poi divenuta più ampia, che si porta sopra agli indumenti e proprio a questo ci siamo ispirate (anche perché se no, sarebbe stato un segreto noto solo a me, Lucia e… Hanβ!).