Oggi, permettetemi di dirlo, gioco davvero in casa. Lucia ed io abbiamo pensato di offrirvi per il mese di agosto la storia di uno stregone, perché statisticamente il numero di donne mandate al rogo con l’accusa di praticare le arti oscure era molto alta e nell’immaginario quella della caccia alle streghe è stata una parentesi che ha riguardato il femminile soprattutto. Ma non solo le donne sono state accusate e condannate. Nel vedere la stregoneria nelle minoranze e ai margini della società, come avvenuto per la precedente Masca Gundelle ad esempio, ci siamo imbattute nella vicenda di un giovane elvetico che aveva avuto contatti con una famosa setta eretica dispersa tra le Alpi occidentali, soprattutto Piemonte, Valle d’Aosta, Delfinato e Svizzera. Aymonet Maugetaz è stregone in quanto vaudois, un termine ambiguo, perché lui “vaudois” lo è due volte: è originario del cantone svizzero Vaud, quindi vodese, ma è anche appartenente all’eresia che, a quell’epoca, viene definita valdese (in francese, lingua di questa storia e della sua collocazione geografica, i termini sono entrambi “vaudois”).

[E io, con madre vodese e padre valdese, ne sono un po’ il punto d’incontro!]

Prima d’immergervi nel mio articolo, scoprite la storia di Aymonet Maugetaz raccontata da Lucia qui… buona lettura!

Storia di un nome. Ma chi sono i valdesi? Se oggi cercate il termine “valdese” -che non ha in realtà connotazione geografica, ma religiosa (e solo per convenzione lo leggete, spesso anche qui!, con questa accezione che sarà chiarita a breve)- scoprirete che si tratta di una minoranza religiosa protestante che prende le mosse dall’esempio di pauperismo di un mercante medievale lionese, il quale in seguito a vicissitudini personali decise di rinunciare ai suoi beni e alle sue ricchezze per vivere in povertà, secondo quanto predicato da Gesù Cristo, e mendicando portare la parola di Dio presso il popolo (un’abitudine che all’epoca non era così insolita).Tale personaggio è noto alla storia come Valdo e da egli prende appunto il nome la confessione cristiana valdese.
Oggi quella valdese è una chiesa strutturata, e trova la sua massima espressione nelle vallate alpine piemontesi del Pellice, del Germanasca e del Chisone (che convenzionalmente sono dette per questo motivo Valli Valdesi… e dove -come ormai saprete- sono nata e cresciuta).
Curiosamente però l’origine più antica del termine non identificava così precisamente questo gruppo di persone, tutt’altro. I Valdesi venivano infatti chiamati così principalmente dai loro avversari e solo nel 1532 la definizione di “valdesi” viene accettata anche da questi ultimi, allorché nelle Valli si decide di aderire alla Riforma protestante e ci si trova a doversi dotare di un nome che contraddistingua questa realtà come gruppo identitario. Sono detti valdesi, perché così erano conosciuti dal mondo; prima di allora si chiamavano fra loro i Poveri di Cristo, ma in realtà i noti “Poveri di Lione” o “Valdesi” sono esoetnonimi (nomi assegnati a una comunità da un’altra popolazione) attribuiti loro dagli avversari cattolici e con intento discriminatorio. La chiave di lettura è infatti il valore dispregiativo che vaudois aveva per l’intera società: non solo per i Cattolici, ma -nel 1510- è testimoniato da un missionario francescano attivo nelle Valli che neppure i Valdesi stessi si definivano tali, anzi… semmai affermavano proprio il contrario!

Risoluzione di un enigma. Il termine valdese era stato oggetto, nel corso del Medioevo, a un allargamento e a un deterioramento del suo significato originale: da “seguace di Valdo” era diventato sinonimo di eretico. Successivamente venne utilizzato nei processi per eresia tenuti dai domenicani che operavano nel Piemonte ed è proprio a questo punto che si assiste all’introduzione di elementi che si fissano poi nel classico sabba (incontri religiosi a condotta sessuale perversa, presenza di animali, sacrificio di neonati, bastoni volanti) a scopo di marginalizzazione degli eretici. I quali, a ben pensarci, finché credevano semplicemente in qualcosa di diverso, non creavano poi gran disturbo: era la propaganda politica a doverli rendere minacciosi agli occhi della comunità, pericolosi per gli altri e pertanto odiosi e temuti da tutti (con tanto di denunce e accuse pubbliche).
Negli anni ’30 del Quattrocento vauderie è diventato in tutto e per tutto sinonimo di stregoneria e le accuse di vauderie fioccano anche in zone ben lontane dai confini delle Alpi piemontesi.
Così come abbiamo assistito alla costruzione del termine “valdese” da parte di chi valdese non era, allo stesso modo dobbiamo renderci conto che il medesimo processo è avvenuto con ciò che riguardava la stregoneria in generale, e cioè che non sono mai state streghe e stregoni ad autoproclamarsi così o a codificare tradizioni, credenze e rituali. Si è trattato di uno strumento culturale, che mischiava elementi precristiani e folcloristici, per meglio combattere le eresie. Avviene così che il termine valdese diventi a un certo punto sinonimo di stregone in un’equivalenza che diviene nell’immaginario collettivo “Valli valdesi = valli di stregoni”. E questo strumento funziona così bene che il popolo tutto inizia a credere alla stregoneria (qui forse cominciamo a comprendere come persone assolutamente lucide potessero convincersi della realtà di cose tanto strampalate come i bastoni volanti) arrivando a compiere un percorso di 360 gradi sull’evoluzione del concetto stesso di stregoneria: si registrano infatti nell’attuale Val Germanasca, a Medioevo concluso, delle condanne a morte per stregoneria a opera di valdesi… Il concetto del sabba, concepito e divulgato dagli inquisitori cattolici, entrerà nella cultura di massa e per diventare una realtà distorta a cui tutti credono, a prescindere dalla fede religiosa.

Occhio di serpente. Abbiamo parlato della presenza di animali nei presunti incontri clandestini degli stregoni valdesi e, chi legge questo blog da un po’, sa quanta parte abbiano giocato i serpenti nella lunga storia religiosa europea (Medusa, la Gorgone, Mélusine) e un rettile è presente pure nella vicenda di Aymonet come trasfigurazione di Satana in persona.
Il folclore alpino conosce diverse creature serpentiformi, che si tratti dello spic noto ai montanari valdesi e variante locale della più celebre Regina dei serpenti europea, oppure la terribile vouivre: “Nelle Alpi di Vaud si rinviene pure la credenza nell’esistenza di enormi serpi incoronate che sono chiamate Vouivres. Di una grossezza e di una lunghezza che mettono spavento, sono alate come i draghi e portano sul capo la corona scintillante; esse hanno un occhio solo, specie di fulgido brillante che splende nella notte sulle montagne, come una palla di fuoco o una stella, quando volano da cima a cima. […] prima di immergersi nell’acqua, lasciano sulla sponda l’occhio di fuoco che le illumina nel viaggio notturno; e dicesi che gli alpigiani, allettati dall’immenso valore di quei brillanti, si adoperavano, onde poterli involare quando le serpi scendevano nell’acqua” come ci informa Maria Savi-Lopez nel suo Leggende delle Alpi (libro di cui vi parlerò il mese prossimo).
A queste ultime creature è ispirato il talismano di cui abbiamo dotato Aymonet, miracolosamente scampato a ben due pericoli: la dannazione per opera degli eretici e il rogo degli inquisitori elvetici… sulla sua giacca fa mostra di sé una spilla che ricorda la pelle di serpente e l’occhio di una vouivre che permetteva di rischiarare il cammino… un po’ come la retta via ritrovata dal nostro stregone pentito.