I colori non esistono mai da soli, ma si oppongono, si completano, dialogano in funzione di altri. Parlare di un colore significa parlare anche di tutti gli altri. Fino all’Alto Medioevo compreso, sono osservabili in Europa due sistemi simbolici cromatici coesistenti: uno basato sull’opposizione bianco/nero di derivazione biblico-cristiana e una triade bianco, rosso, nero ben più antica.

Paleo-palette. Se osserviamo le più celebri grotte dipinte d’Europa, possiamo ottenere una specie di tavolozza preistorica: nero, rosso, bruno, qualche volta giallo e raramente bianco. I pigmenti neri sono a base di ossido di manganese o carboni vegetali; i gialli sono ottenuti da terre argillose ricche d’ocra; i rossi sono spesso estratti dall’ematite, un minerale ferroso diffuso in Europa. Nel Paleolitico si sviluppa l’arte di trasformare i minerali provenienti dal terreno in pigmenti che serviranno alla pittura, a volte addizionati di prodotti (talco, feldspato, quarzo) che ne rendevano più semplice la stesura o ne aumentavano coprenza e luminosità.

Lontano da noi. Un dato che spesso viene tirato in ballo sia dagli storici del colore che dagli studiosi di arte preistorica è l’impossibilità che abbiamo -come umani moderni- di cogliere totalmente la simbologia di ciò che arriva dal passato: lato pragmatico, bisogna tenere conto che oggi noi vediamo reperti e opere parietali con strumenti diversi derivati dalla tecnologia (le pitture in grotta sono state realizzate per essere osservate con particolari condizioni di luce, che certo non sono quelle offerte dalle torce e dall’illuminazione elettrica moderna); inoltre non sappiamo come apparissero in antico certe immagini e quanto il tempo abbia degradato gli originali. Ma anche tenuto conto di tutto ciò, tra noi e gli artisti preistorici ci dividono occhi e percezioni diverse: così come non abbiamo ancora decifrato il messaggio dei soffitti e delle grotte dipinte perché carenti delle chiavi di quel codice, allo stesso tempo la nostra sensibilità è cambiata così tanto da allora da farci dubitare che il significato del colore per i nostri avi fosse lo stesso che ha oggi per noi.

Rosso, nero, bianco. Pur consapevoli delle difficoltà di studio della materia, dobbiamo anche riconoscere che dalle nebbie del tempo sfuggono a volte dei frammenti di verità, come dimostrano le ricerche di Marija Gimbutas, basate soprattutto sull’analisi dei codici simbolici nascosti nelle decorazioni di oggetti rinvenuti in tutta Europa e che formerebbero un linguaggio devozionale dedicato alla Dea.
L’antichissima triade di colori è sopravvissuta nell’organizzazione tripartita delle società indoeuropee: il bianco è il colore dei sacerdoti; il rosso dei guerrieri; il nero degli artigiani produttori… Ma nel sistema simbolico preindoeuropeo, basato su un mitico tempo ciclico, i colori avevano un significato completamente differente e lo scopriremo insieme nel corso dei prossimi post settembrini.