Un paio di venerdì fa sono andata con la mia famiglia (eccetto la piccoletta che è ancora troppo piccoletta) al concerto di Salmo. Premessa: siamo dei grandi fan di Salmo, il Babacetto -che ormai a quasi 8 anni più tanto Babacetto non è, ma- compreso.
Potrei versare fiumi d’inchiostro e digitare un numero spropositato di caratteri per narrare quanto segue, ma farò qui appello alle mie [scarsissime] doti di
brevitas: è successo che, nel bel mezzo del concerto, un personaggio dell’entourage di Salmo, colpito dalla presenza del Babacetto, sia venuto a dirci che voleva portarci nel backstage. Ma soprattutto è successo che, contrariamente a quanto noi bravi genitori piemontesi
avremmo pensato (v. anche, non ci credevamo minimamente), il tipo in questione sia alla fine venuto a recuperarci e ci abbia effettivamente portato al cospetto di Salmo.
Questa la premessa (faticosamente abbozzata). Ora possiamo lanciarci in arabeschi logici sulla faccenda.

Mi sono sempre ritrovata a sorridere -io che ho lasciato l’adolescenza l’altro ieri, non tanto anagraficamente, ma moralmente sì- di fronte al topos leggendario del gigante: in ogni mitologia esiste infatti la figura di un personaggio o di un popolo dalle dimensioni colossali.
A fronte di molte speculazioni etnologiche sulla natura dei giganti (saranno esistiti davvero? Da dove venivano? Gli antichi erano più grandi di noi?) mi è sempre sembrata tanto più ovvia la motivazione con cui i ragazzini additano, per esempio, i calciatori più forti: “E’ un grande!”.
Insomma, c’è quasi una lente interiore che ci fa apparire le cose significative più grandi della realtà, belle o brutte che siano.
E c’è un punto che mi fa molto ridere: quando si studia l’Antichità è facile paragonare gli eroi passati alle super star di oggi… di fronte ad annoiati alunni di epica greca, certamente si sprecano le similitudini tra Ercole e Ronaldo, Ulisse e Lazza, Elena e Ferragni. Ma ci dobbiamo stupire? Chissà quanti “miti” abbiamo perso per strada (a cominciare da mio nonno che, ormai qualcosa come 30 anni fa, costretto dalla nipotina a compilare il diario dell’amicizia di Barbie, mi fece scrivere nella casella “il mio idolo” il Generale De Gaulle…); ogni epoca ha avuto i propri grandi e sarà sempre così.

Ma cosa succede quando si avvicina un grande? Posto che io nel backstage del concerto di Salmo mi sentivo a mio agio come le proverbiali aragoste nell’acquario del ristorante (con la consapevolezza che non sarei finita mangiata ok, ma con la stessa urgenza di scappare via), in primis sciocca constatare che una persona che, fino a 10 minuti prima, teneva in pugno 10.000 persone di fronte a te sia… normale (e anche di più, eh. Non l’ho scritto prima per la famigerata brevitas, ma sono stati tutti carinissimi). Ma cosa rende improvvisamente un individuo = un trascinatore, che poi “uscito” da lui, lo ritrasforma in una persona comune (solo un po’ più tatuato della norma)?

La studiosa delle religioni che è in me gioca, ovviamente, la carta dello spirito. Non necessariamente santo, eh. Anche se su “salmo” sarebbe facile lanciarsi in giochi di parole.
C’è questa carica di energia che alcune persone sanno cavalcare e altre no. Che poi è la stessa che, a parità di talento, rende alcuni famosi e altri no. Il carisma.
Ma ci nasci con il carisma? O lo acquisisci con il tempo?
Il carisma è una roba che io non ho e non vorrei nemmeno avere perché credo, per dirla con lo zio di Peter Parker alias Spider Man, da esso derivano pure grandi responsabilità. Pensiamo ai politici che fanno leva sulla loro capacità di trascinare la masse dietro a polemiche comode per ottenere o consolidare la posizione privilegiata (se senti della polemica, c’è tutta).

E chissà se certe persone, come Salmo e il suo amico in questo caso, sono consapevoli di maneggiare questo super potere capace di far stare bene, che su di noi si è tradotto con un’espressione ebete lunga 24h circa, ma che di fatto è una sorta di tocco magico che mette in moto l’energia. La capacità di far sentire, anche solo per un breve istante, di essere contagiati dalla stessa grandiosità… secondo me non è troppo diverso dall’esperienza mistica di chi tocca il divino.
Forse sta tutto nella definizione che la società attribuisce al divino in un preciso momento storico.
D’altra parte, chissà quante volte Salmo si è sentito dire: “Sei un mito!”.

Nota di storia delle religioni.
Se vogliamo chiuderla in maniera nerdissima, possiamo dire che la mia posizione ci porta non troppo distante da quella del filosofo Evemero che riteneva gli dei come l’evoluzione di eroi o re leggendari a cui si attribuiva una natura divina per il loro valore o per la saggezza.