Una cosa che amo fare, e che mi viene naturale, essendo una persona che legge 2-3 libri allo stesso tempo, è un saltuario mash-up di quello che mi passa sotto gli occhi.
A volte pubblico quello poi il mio cervello partorisce.
Si tratta talvolta di pensieri, altre di prese di consapevolezza; non sempre queste elucubrazioni sono degne di condivisione, ma quella di oggi credo di sì.

Sto finendo di leggere Dune di Frank Herbert. E, contemporaneamente, sto studiando la vicenda ereticale del Medioevo nelle zone in cui vivo.
Si potrebbero sprecare similitudini e paragoni… ognuno ci mette il suo e sente le cose in base al proprio vissuto.
Oggi però vorrei concentrarmi su quello che mi ha convinta ad affrontare il malloppazzo di Herbert (vabbè, dai. Lo so: come se il numero di pagine fosse in un qualche modo un deterrente!): il ruolo che la religione esercita ai fini della vicenda.

Nota per chi non conosce l’opera (tranqui, senza spoiler): nell’affrontare l’egemonia sul pianeta Arrakis, vengono evidenziati diversi approcci politici, alcuni più legati alla sfera economica e all’idea del profitto, altri con aspetti ecologici oppure religiosi. Ovviamente questi ultimi sono quelli che mi hanno colpita di più. In maniera molto cruda l’autore sviluppa lungo tutto l’intreccio la funzione utilitaristica della religione, debitamente manipolata, per smuovere eventi e far agire personaggi.

Ci sono istanti in cui, soprattutto nel film recentemente uscito, si ha l’impressione di assistere a come la leggenda di Gesù sia stata ispirata, confezionata e istillata in certe persone, quelle che si desiderava manipolare. Assistiamo alla nascita di un Messia, con tutte le componenti psicologiche di chi si ritrova a vestirne i panni, chi ne ha una fede cieca, chi ha preparato il terreno perché il mito facesse presa. Ancora volo, mentre sto scrivendo.

Orbene, che ci portiamo a casa da tutto ciò? Una domanda secca, ma senza grandi risposte.
Dov’è finito, oggi, il sentimento che spinge la gente a seguire un Messia?
Gli ultimi grandi personaggi che hanno goduto di un’aura mitica sono stati i cantanti dei decenni passati, magari ancora qualche calciatore… uno Steve Jobs qua e là, ma poco altro.
I social hanno ammazzato tutta la mitologia attorno alle persone famose? Tramite la sovraesposizione delle loro vite ci siamo accorti che, al massimo, hanno una vita diversa dalla nostra, senza essere necessariamente diversi da noi? O storicamente ci sono troppo vicini e, per questo, non ancora passati al setaccio delle “grandi imprese che verranno ricordate”?

Di fronte ai processi di persone condannate e uccise per la loro fede (sono tornata ai miei eretici medievali), la mente di oggi si domanda quale forza animasse certi atteggiamenti, arrivando a subire discriminazioni, violenze, torture pur di non rinnegare. Quale mito fosse stato inculcato e con quale potenza risuonasse nelle coscienze di chi l’aveva udito e fatto proprio.
Non che necessariamente rimpianga nulla, eh. Disillusione a volte fa rima con disincanto ed essere meno manipolabili non è che faccia schifo. Solo, il sospetto di essere manipolati da qualcos’altro c’è ugualmente, ecco.

Forse scegliere da cosa si vuol essere manipolati è una sorta di risveglio di coscienza.
Di tutti i futuri possibili, condizionati dalle scelte differenti che prendiamo -o non prendiamo- ogni giorno, noi possiamo esaminare la molteplicità e decidere quale opzione fare nostra.
Quest’illusione di non aver possibilità di scelta, a volte, mi sembra la cosa che ci manca di più.
Siamo liber* di essere il nostro Messia, ma non consapevoli di questo immenso privilegio.