Qualche giorno fa c’è stata la riunione d’inizio anno a scuola di mio figlio. Parteciperanno a un concorso indetto da un ortofrutta locale: chi intaglia la zucca più bella vince un rifornimento di frutta secca (ok, anche chi non vince, ma insomma… ci siamo capiti).
Dopo che la maestra di arte ha parlato di quest’iniziativa, è toccato a quella di religione prendere la parola e ha esordito così: “Ecco, poi a me toccherà smontare tutta questa cosa di Halloween perché, si sa, la ricorrenza che festeggiamo noi è Ognissanti, non Halloween”.

Improvvisamente ho sentito come, per qualcuno, tutti gli anni che ho passato a studiare il folclore, a ricercare i punti di contatto tra le varie espressioni culturali e metterli in connessione, come se si trattasse di una grande, calda e avvolgente coperta patchwork per tutti noi, non avesse alcun valore.

E non mi sconvolgo del diktat “questo si fa, questo non si fa” (dopotutto, crescendo in ambiente protestante, so meglio io della platea cattolica che mi legge cosa significa epurare la religione di tutti gli orpelli, anche quelli piacevoli!): per come sono fatta io, ad esempio, più mi si dice che una cosa non va fatta, più quella roba lì mi diventa gustosa. Conto (e spero!) che sia così anche per i bambini.

Ma in una scuola che dice di voler promuovere il rispetto, l’inclusione, la parità di diritti (snocciolato il programma di religione cattolica, che era l’ultimo insegnamento esposto, ci è stato illustrato il Patto di responsabilità che -per chi non ha figli spiego- si tratta di uno testo che scuola e famiglie sottoscrivono in cui ci si impegna reciprocamente a fare tante belle cose… dalla puntualità, al rispetto di spazi e figure professionali e via dicendo) come lo inseriamo il discorso della maestra?

Quando ho pensato a cosa scrivere in questa newsletter avevo immaginato di darvi la chiave per leggere in anteprima un articolo del blog che andrà online la mattina del 31 dal titolo zuzzurullone “Halloween, guida rapida per (spiegarlo a) parenti scettici”, ma vorrei ancora fare con voi una considerazione un po’ più profonda.

Se Halloween, così come lo conosciamo con tanto di zucche intagliate, dolcetti o scherzetti e mascherate, è un fenomeno piuttosto recente (così tanto da non godere ancora di una sfilza privilegiata di studi a esso dedicati) possiamo farci ispirare da ciò che sappiamo su una festa molto simile, il Carnevale. Il Carnevale, anch’esso così come lo conosciamo, è un evento di origine medievale, di sicuro attinge le sue radici in secoli e tradizioni precedenti, ma comincia a prendere la forma a noi nota solo quel periodo. Perché? Perché, come scrive lo storico Alessandro Vanoli:
“Ci voleva davvero la rinascita delle città per ricordarci del nostro passato. Ci voleva quel nuovo mondo di nobili, mercanti, sacerdoti, predicatori, frati, poeti itineranti, poveri diavoli e lebbrosi. Ci voleva quel nuovo senso di comunità per rendere necessarie nuove feste; feste che davano ordine ai ritmi umani e religiosi, ma che lo facevano attingendo da antichi culti, tradizioni ancestrali e memorie quasi perdute.”

Quando rileggo queste righe, mi trovo pienamente centrata, avverto quasi concretamente il significato del mio percorso di ricerca e so che tante altre persone sentono quel bisogno di “nuovo senso di comunità”.
Halloween è una festa nuova, che risponde a nuovi bisogni.
Non starò a dire che è un peccato che non tutti colgano questa sfaccettatura, mi conforta molto di più sapere che dal basso (= noi) qualcosa si muove -e continua a muoversi- per rispondere a questo bisogno.

La citazione è tratta da “Inverno. Il tempo dell’attesa” di A. Vanoli, Il Mulino.